Fausto Leali compie 80 anni e si racconta in una lunga intervista
Fausto Leali fa 80! Nato a Nuvolento il 29 ottobre 1944, il bianco con la meravigliosa voce black raggiunge un traguardo ragguardevole con intatta la carica di energia che ha sempre mostrato nella vita e sul palco. Curiosamente, il cantante bresciano (che da anni risiede a Lesmo, in Brianza) festeggerà il compleanno al Casinò di Sanremo, all’interno di una cerimonia-spettacolo in ricordo della vittoria al Festival della Canzone Italiana del 1989, quando trionfò con la canzone «Ti lascerò» in coppia con Anna Oxa.
Per l’occasione, è stata realizzata una copia della statuetta che trentacinque anni fa era stata consegnata sul palco dell’Ariston, «ma che – ci confida Fausto – fu incamerata da un discografico che non me l’ha mai fatta avere». L’idea dell’evento nasce da Franco Fasano, coautore della canzone vincitrice, ed è stata sposata dall’amministrazione comunale di Sanremo, che gli ha conferito il crisma dell’ufficialità.
Anche la televisione pubblica omaggerà l’artista: in giornata, Rai Teche pubblica su RaiPlay lo speciale «Stasera Fausto Leali», che andò in onda il 14 aprile 1972 ed era a lui interamente dedicato. Nella trasmissione, condotta dall’attrice Emanuela Fallini, il performer e cantautore dalla vocalità graffiata (e graffiante) interpretò varie canzoni allora appena incise, in buona parte inserite nell’album «Run…Fausto, Run» del 1971: «America», scritta da Bigazzi e Cavallaro; «L’uomo e il cane», composta insieme a Mamared (nome d’arte dietro il quale si celava la sua prima moglie, Milena Cantù); «Piango per chi», un pezzo realizzato in collaborazione con Bruno Lauzi e Claudio Daiano, reso con un’esecuzione al piano; «Canto per lei», scritta con Luciana Medini.
D’altronde, la voce di Fausto Leali può dirsi una delle più belle e peculiari che l’Italia possa vantare, tanto da garantirgli una carriera costellata da successi, come quelli ottenuti in particolare con «A chi» (1967), «Deborah» e «Angeli negri» (1968), «Io camminerò» (1976), «Io amo» (1987), «Mi manchi» (1988), «Ti lascerò» (1989). Tutti pezzi interpretati con quello stile inconfondibile che lo ha fatto apprezzare non solo in Italia ma anche all’estero, ispirato più di tutti dal leggendario Ray Charles: «Ray – spiega Leali – è stato il mio modello di sempre. L’ho anche conosciuto personalmente grazie all'amico Wilson Pickett, un altro grande, come pure James Brown. Ma ho amato egualmente Percy Sledge, Ben E. King e, senza riserve, pure i Beatles, che ho rifatto (con «Please Please Me» e «Lei ama», da «She Loves You», ndr) senza ovviamente mai cercare di imitarli».
Fausto, festeggiare a Sanremo ha un sapore speciale…
Sì è speciale, come l’occasione creata dall’amico Fasano. È una sorta di risarcimento per un premio che mi fu assegnato, e che di fatto non ebbi mai. Ma un altro festeggiamento ci sarà in tv, a «Io Canto Generation» (talent show musicale per talenti in erba, condotto da Gerry Scotti e in onda su Canale 5, in cui Leali svolge il ruolo di coach, ndr), che però viene trasmesso il mercoledì e quindi mi vedrà già ottantenne da un giorno.
Al traguardo ci arriva in gran forma…
Al riguardo, devo dire grazie a questo mestiere, che è difficile da fare ma ti mantiene giovane. Cantare dal vivo davanti a migliaia di persone o esibirti in televisione quando sai che la platea è ancora più ampia ti trasmette un’energia incredibile. E vuoi mettere anche la soddisfazione di farlo in un contesto come quello di «Io Canto Generation», con un gruppo di giovanissimi talenti… Certo, è una professione anche faticosa, perché gli spostamenti continui sono stancanti, ma ti garantisce una carica impagabile. E poi a stare fermo a casa proprio non ce la faccio…
A proposito di talenti, anche meno giovani: c’è uno che assomiglia a Fausto Leali, nel panorama attuale della canzone italiana?
Non so se mi assomiglia ma, come ho detto spesso, mi piace molto Irama.
È arrivato presto alla ribalta. Sognava il palcoscenico già quando era bambino a Nuvolento, e poi adolescente a Brescia?
A Nuvolento ero ancora troppo piccolo, ma quando arrivai in città cominciai a strimpellare la chitarra e a un certo punto mi guadagnai una chiamata da Max Corradini per la sua Orchestra di Acquanegra sul Chiese: a introdurmi nel giro fu Anna Ferrari, una grande cantante a cui devo molto. Dopo altre esperienze, ho creato un mio gruppo, i Novelty, con cui a diciott’anni cantavo Ray Charles e in seguito anche i Beatles. Ma non avrei mai pensato che un giorno avrei fatto la tournée italiana con i Beatles, che avrei cantato con Ray Charles e duettato con la grande Mina. Quindi, devo dire che sono stati grandi sogni che non ho sognato, ma direttamente realizzato.
Qualche tempo fa le chiesi le tre canzoni che ama di più, tra le sue. Mi rispose: «A chi», «Deborah», «Mi manchi». Mi conferma la scelta?
Tre sono poche. Con «A chi» metterei «Io amo», «Mi manchi» e «Ti lascerò». Ma non vorrei lasciar fuori nemmeno «Deborah», che ha il suo peso, nella mia carriera e nella mia vita, visto che l’ho cantata con Wilson Pickett, con cui sono diventato amico e che è stato il padrino di battesimo di mia figlia Deborah.

In cima alla classifica c’è «A chi»?
«A chi» è una canzone che interpreto ancora molto volentieri, anche per la sua struttura particolare, diversa dalla classica combinazione strofa-inciso. Ha un andamento tale che non la puoi scomporre, non la puoi interrompere. Ed è ancora decisamente fresca.
Ha pure una storia lunga e curiosa, che dice molto sull’ambiente musicale...
È proprio così. Eseguivo il pezzo già nella versione originale, «Hurt» di Roy Hamilton, che risale addirittura al 1954, anche se fu resa celebre nel 1960 da Timi Yuro. Milva lo tradusse in maniera letterale in italiano nel 1962, e ne uscì «Ferita». Io non conoscevo questa cover, per cui quando decisi di renderla a mia volta in italiano, nel 1967, la stravolsi e la feci diventare «A chi». Ma non piacque del tutto alla mia casa discografica e io allora ero troppo giovane per impormi, per cui fu proposta come lato B del 45 giri «Se qualcuno cercasse di te». Fu Pippo Baudo a intuirne le enormi potenzialità, imponendola con un sotterfugio nel programma «Settevoci», che conduceva in Rai. Poi Renzo Arbore prese a passarla in radio: solo allora i discografici si azzardarono a stamparne finalmente un po’ di copie. Che con il tempo sono diventate milioni.
I compleanni a cifra tonda sembrano fatti apposta per i bilanci. Rimpianti?
Per i rimpianti, dovrei scrivere quattro libri (ride, ndr)! Scherzo, naturalmente: sono cose che si dicono di riflesso, tanto per dire, anche se non si pensano. Parlando seriamente, se mi guardo allo specchio mi ritengo fortunato: ho ottant’anni ma vado in giro, la gente mi vuole un bene dell’anima, riesco a fare ancora bene il mio lavoro e sono in salute, a parte quegli acciacchini che hanno tutti. Nessun rimpianto da segnalare, insomma.
E sogni nel classico cassetto, ancora in tempo per essere realizzati, ne sono rimasti?
Preferisco parlare di progetti. Ne ho appena ultimato uno: si tratta di un disco di canzoni natalizie o comunque dal sapore natalizio intitolato «Il mio Natale». Uscirà il 22 novembre e considero un bel traguardo che, alla mia età, un’etichetta internazionale importante come la Warner Music mi abbia proposto un’idea così bella.
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