Cultura

«Mio padre Ermanno Olmi, uomo di dibattito e risposte»

Stasera in Santa Giulia la figlia Elisabetta ne ricorda la figura a 5 anni dalla morte
Il regista Ermanno Olmi, scomparso 5 anni fa © www.giornaledibrescia.it
Il regista Ermanno Olmi, scomparso 5 anni fa © www.giornaledibrescia.it
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Un incontro alla White Room del Museo di Santa Giulia, a Brescia, per approfondire «Il cinema di Ermanno Olmi», dunque il ricchissimo universo umano e artistico del grande regista, scomparso a maggio 2018.

Accadrà questa sera, alle 19 (ingresso libero, prenotando al cup@bresciamusei.com o chiamando lo 030/29778333-4), con protagoniste Elisabetta Olmi, figlia di Ermanno e produttrice cinematografica, insieme alla studiosa Emanuela Martini, direttrice di «Cineforum» e autrice di saggi arguti su vari registi del passato e del presente.

Il dialogo fungerà da ideale introduzione a «Il mestiere della armi», la cui proiezione (alle 21.30 nell’attiguo Parco del Viridarium per l’Eden d’Estate) chiude la rassegna che FIC - Federazione Italiana Cineforum e Fondazione Brescia Musei - Nuovo Eden hanno voluto dedicare a Olmi nel quinto anniversario della morte.

Martini inquadra così il tema: «Parlare oggi di Olmi significa riflettere innanzitutto su coppie di antinomie: città e campagna, industrializzazione e agricoltura, urbanizzazione e natura; e i tempi, le aspirazioni, i rapporti, profondamente differenti nei due contesti. Antinomie intorno a cui si muove tutta la Lombardia, non solo nell’accentramento urbano e industriale che si è sviluppato intorno a Milano, ma anche negli altri contesti, come l’area che comprende Bergamo e Brescia, fino al lago di Garda, con le valli e le montagne circostanti. Un mondo fatto di mutazioni e contrasti che Olmi ha saputo raccontare anche nel suo processo di trasformazione».

La figlia Elisabetta ha d’altronde raccontato al Giornale di Brescia che, sebbene il genitore non facesse differenze né classifiche tra le sue creature cinematografiche, «teneva tuttavia tantissimo ai documentari, che sono una parte fondamentale della sua filmografia, spesso ingiustamente trascurata o sottovalutata. Senza il filtro della finzione era ancora più diretto, si sbizzarriva, raccontava in totale libertà del territorio, delle sue ricchezze e dei suo valori, delle criticità».

È egualmente certo, peraltro, che la vita vera emergesse con forza dirompente pure quando il maestro bergamasco ricorreva al cinema di finzione, in virtù di una capacità di aderire alla materia trattata senza farsene fagocitare, al contrario cercando la prospettiva più adatta al racconto.

Sottolinea ancora Elisabetta Olmi: «Ermanno cambiava stile a ogni opera, a seconda di ciò che raccontava. Basta pensare proprio a “Il mestiere delle armi”, impostato su inquadrature fisse per richiamare i dipinti d’epoca. O a “L’albero degli zoccoli”, in cui aveva spesso la macchina a spalla per rendere la narrazione vicina a chi guarda. Questa sensazione di genuinità è una costante nel suo cinema, alla cui base c’era preparazione certosina, mai affettazione. Creava dibattiti, discussioni, ma in maniera sempre costruttiva; e sapeva dare risposte, senza mai sottrarsi al confronto». 

 

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