Cultura

Milena Béthaz: «La montagna è stata crudele con me ma continuo ad amarla lo stesso»

Milena Béthaz fu colpita da un fulmine sul Gran Paradiso: ora racconta com’è riuscita a sopravvivere nel suo nuovo libro «Un cuore in vetta»
Milena Béthaz sulla copertina di «Un cuore in vetta»
Milena Béthaz sulla copertina di «Un cuore in vetta»
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Milena Béthaz, aostana della Valgrisenche e campionessa di skyrunning, nel 2000, all’età di 28 anni, mentre svolge la sua occupazione di guardaparco tra le montagne del Gran Paradiso, viene colpita da un fulmine che le attraversa il corpo.

Nel 2015, dopo un lungo e difficile periodo di riabilitazione, ha potuto riprendere servizio. «Un cuore in vetta» (TS Edizioni, 128 pagine, 16 euro) è il volume nel quale racconta la riconquista di sé.

«Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». Lei cita nel suo libro questa famosa frase de «Il piccolo principe». Cosa vede il suo cuore, oggi, tra le grandi montagne della Valle d’Aosta?

Il mio cuore vede la bellezza, la semplicità e tutto ciò che la montagna dà. La montagna mi ha dato tanto, ma mi ha anche azzerata a causa del fulmine. Tuttavia è una grande scuola di vita, dove bisogna accettare situazioni piacevoli e altre drammatiche. Vivendo la montagna si prende coscienza delle proprie possibilità e limiti, e si impara a essere grati per quello che si è e anche per quello che si ha. In montagna si è felici delle piccole cose: un camoscio che ti guarda nel bosco o una marmotta che esce dalla tana.

Al termine del suo percorso riabilitativo ha ripreso l’attività di guardaparco. Ha scritto che «la montagna è stata crudele con me, ma io la amo». Che valore rappresenta la possibilità di contribuire di nuovo attivamente a fare conoscere la natura?

Lavorare a stretto contatto con la montagna rigenera il corpo e la mente. Nel silenzio ci si sofferma maggiormente a riflettere sugli aspetti più importanti della vita quali la salute, la famiglia, le amicizie, il lavoro e, nel mio caso, anche la fede, dono straordinario che arriva dall’alto. Durante il periodo estivo lavoro in Valsavarenche, a Orvieille, in un centro di osservazione della marmotta, assieme a colleghi e ricercatori. Studiare abitudini e comportamenti di questi animali, oltre a riempirmi di gioia, permette di custodire e divulgare conoscenze. Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, nel quale lei lavora, ha da poco compiuto cento anni dalla sua istituzione.

Quali sono i contesti naturali che la affascinano maggiormente?

Ogni ambiente ha il suo fascino: le maestose montagne, i ghiacciai (che ahimè danno segni di sofferenza), i boschi, le praterie, i pascoli, le zone umide o rocciose. A seguito dell’incidente prediligo le zone che posso raggiungere più facilmente per ammirare le specie tipiche di flora e fauna. Quindici anni dopo il suo incidente, lei è riuscita a salire sulla vetta del Gran Paradiso, che raggiunge la quota di 4061 metri. Le pagine del libro che raccontano la sua ascesa coinvolgono emotivamente anche il lettore.

Qual è il messaggio che può trasferire la sua salita alle persone con disabilità?

La salita al Gran Paradiso, data la mia disabilità, non era scontata. Con caparbietà, determinazione e grinta ho raggiunto la vetta con tutta la comitiva guidata da mio zio Netto. In vetta ho abbracciato la Madonnina: lassù mi è sembrato di toccare il Paradiso con un dito. Un’emozione straordinaria! Con questa impresa voglio incoraggiare tutti coloro che attraversano momenti difficili a non abbattersi, a non arrendersi, a tener duro, raggiungendo così risultati a volte inaspettati.

Nel 2016 il presidente Sergio Mattarella l’ha insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica. Che cosa ha costituito per lei questo riconoscimento?

La stretta di mano del Presidente della Repubblica mi ha colmata di gioia e mi ha dato la carica giusta per continuare nel mio cammino riabilitativo. Con l’incidente ho perso parte di memoria e mesi di vita. Ho dovuto imparare nuovamente a parlare, camminare, scrivere. Non è facile riprogrammarsi dopo un terribile incidente e affrontare un lunghissimo percorso di ripresa, ma sono riuscita a riacciuffare la mia vita e ne vado fiera. Spero che il mio esempio serva ad altri. La gente ha bisogno di persone che trasmettono luce e speranza per il futuro. A volte non si guarisce da paure, drammi e dolori perché si continua a piangersi addosso. Bisogna invece spegnere la luce sulle cose brutte che ci fanno stare male e accendere i riflettori su tutto ciò che rende bella la vita. Spero che il mio libro possa spronare chi è rinchiuso in se stesso a guardare oltre il buio. A volte, come nel mio caso, l’impossibile diventa possibile.

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