Michele Gazich: «Con Michele Straniero mi abbevero alla fonte del cantautorato»

«Michele Luciano Straniero è uno dei pochi poeti del Novecento da ricordare» disse Pier Paolo Pasolini. Così non è stato, complice la scomparsa, a 64 anni, dell’artista ed intellettuale abitante a Torino (investito da un’auto il 4 agosto 1998 e spirato molti mesi dopo, il 7 dicembre 2000, senza essersi mai ripreso).
Ora, arriva - non solo a farne memoria, ma ad esplorarne un lato per... certi versi sconosciuto - un progetto straordinario, in tutti i sensi: l’album di Michele Gazich e Federico Sirianni (con la regia sottotraccia del nipote del poeta, Giovanni) intitolato «Domani si vive e si muore».
Il cd contiene otto brani che mettono in musica poesie inedite di Straniero, con l’aggiunta di un prologo (un «incontro immaginario» con lo stesso Michele Luciano nella «sua» Torino, col sigillo dell’antifascismo) e della conclusiva «Danzacronaca», danza macabra nella quale il protagonista si ritrova con gli amici scomparsi e con altre personalità che lo hanno preceduto nell’aldilà (Umberto Eco, Danilo Dolci, Italo Calvino, Fabrizio De André, Giorgio Gaber... e il più caro di tutti, quel Franco Lucà fondatore con lui del FolkClub).
Caratura
Impressionante la caratura e il numero degli ospiti (da Gian Gilberto Monti a Maurizio Bettelli, da Alessio Lega a Giovanna Famulari a molti altri). Spiccano, con cammei intrisi della loro storia, un carismatico Moni Ovadia, Giovanna Marini e Gualtiero Bertelli.
Dice Gazich, il bresciano polistrumentista e scrittore di canzoni: «Avere incontrato Michele Straniero e avere musicato le sue parole è un dono immenso: è stato un abbeverarsi alla fonte della canzone d’autore. E vicino alla fonte l’acqua è più fresca e pulita».

Straniero è considerato l’inventore, insieme a Sergio Liberovici, di Cantacronache, il gruppo di artisti (musicisti e no) che, ricorda Fausto Pellegrini in uno dei testi introduttivi, «decisero di provare a narrare in parole e musica i problemi di un’Italia ancora in cerca di stabilità e di identità dopo la devastazione della guerra», con l’idea di «dare alla canzone una dignità artistica vera ed utilizzarla non come strumento di evasione, ma come rappresentazione della reale vita quotidiana». Un’avventura che, tra il 1958 e il 1962, vide coinvolti tra gli altri i già citati Calvino ed Eco, Franco Fortini, Giovanni Arpino, Gianni Rodari, Piero Gobetti, Margot Galante Garrone, Fausto Amodei (anch’egli ospite nel disco)... Ecco perché Straniero - lo rammenta proprio Sirianni (genovese di nascita e torinese d’adozione, già finalista al Tenco) - è ritenuto l’uomo che «diede il via alla grande stagione della canzone d’autore italiana».
Ma se «nelle sue canzoni Michele "urla" la denuncia di fatti di cronaca quotidiana, nelle poesie - rileva il nipote Giovanni - "sussurra" le sue particolari emozioni».
I testi inediti
Non è dato sapere cosa Straniero volesse fare dei testi che sinora erano rimasti inediti. Ma è certo, osserva Gazich, che «sono molto diversi da qualunque cosa da lui pubblicata in vita». E hanno permesso, dice ancora l’artista bresciano, di creare canzoni «molto commoventi e molto spavalde». Brani (condividiamo appieno quanto si legge sulla controcopertina del libretto) «vivi, potenti, sfrontati, imperdonabili, urgenti».
Non mancano, certo, tracce - su tutte «Da un cielo umano» - con suggestioni politico-sociali, che il cinismo dei nostri tempi potrebbe bollare come definitivamente utopistiche. Ma si va dalla «Lettera ai genitori», quella di chi ha fatto di tutto «per essere un albero fecondo» e si ritrova «col mantello di ragnatela e lo scettro magro dei buoni a nulla» (salvo osservare «La mia vita oggi è finita / La vostra è mai cominciata?»), alla «storia banale di chi aspetta / e l’altro non arriva»; dal richiamo ad una Elisa che molto ha sofferto al ritratto di una Marta che «saluta le sere ed i giorni e non sogna le fate»... E ad emergere è una vena più intima ed introspettiva.
Sirianni la racconta così, la scoperta avvenuta grazie ai testi preziosi consegnati da Giovanni: «Pur rimanendo tracce di un pensiero politico e di un’analisi lucida e spietata della società circostante, c’era la persona che si rivelava nelle sue fragilità più intime; l’arguzia e il sarcasmo si mettevano un poco di lato, per fare spazio a una dolce e dolente confessione del proprio sentire».
Selezioniamo alcune immagini, in ordine di... ammirazione: «Ho cullato la mia rabbia / A forza di sonno, a forza di libri»; «Un cielo pesante che sa di lamiera /... / la terra che geme e dà il giorno e la sera»; «Pensavo a te, a noi / Più a te, malata di stupore»; «E aspetto che i nostri figli amino la terra / Come l’amano i nostri cani»; «L’amore spinge l’alba / ad affrettare il passo»...
Gemme
Gemme alle quali la musica (cui ha contribuito in sala d’incisione soprattutto Marco Lamberti) riesce a corrispondere. Con uno spirito cantautorale che non si ferma, ad esempio, all’eco di Fabrizio De André, ma si spinge sino a Bob Dylan e ad escursioni in Irlanda. Soprattutto, con l’originalità dell’immanente violino di Gazich: canto nel canto, frasi nelle frasi, poesia nella poesia. Salvo lasciare spazio anche alla viola, che in «L’altro» dona passaggi commoventi. Si arriva così ad una canzone - «L’amore è sempre il punto» - ch’è una meraviglia melodica ed emotiva, costruita quasi reiterando una sola frase.
Sono stati degni del Poeta, Gazich e Sirianni. E Pasolini, in qualunque punto si trovi adesso, può annuire compiaciuto.
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