Ponzani: «Alle Ardeatine dolore, resistenza e memoria delle donne»

«Mi sembra spesso di vivere in un Paese assai bizzarro, nel quale la memoria delle stragi nazifasciste è rimasta a lungo locale, familiare e personale, finché il presidente Ciampi non ha deciso di farla diventare memoria collettiva. Eppure, noi siamo il Paese di quelle stragi: i frutti di una spietata strategia di guerra terroristica da parte degli occupanti tedeschi, con il supporto della Repubblica sociale, che ha lasciato una pesante scia di morti e di memorie da non disperdere».

Contro questa dispersione Michela Ponzani ha scritto «Donne che resistono. Le Fosse Ardeatine dal massacro alla memoria (1944-2025)» (Einaudi, 200 pp., 23 euro). Ha presentato il libro ieri nell’auditorium San Barnaba, in chiusura dell’ultima giornata di Librixia, la Fiera del libro di Brescia, promossa dal circolo culturale Ancos di Confartigianato Brescia e Lombardia con il Comune di Brescia.
Le partigiane
Ponzani, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma Tor Vergata, è stata presentata da Giovanni Sciola, direttore della Fondazione Luigi Micheletti, nell’incontro organizzato con la Commissione Pari Opportunità del Comune. Alle loro spalle i ritratti di otto partigiane – tra cui quattro bresciane: Lina Tridenti, Dolores Abbiati, Antonia Oscar Abbiati, Rosi Romelli – realizzati dall’artista Elena Volongo. Sono donne anche le protagoniste del libro: vedove e madri che persero mariti e figli nel massacro delle Fosse Ardeatine compiuto a Roma il 24 marzo 1944. «La memoria di quella strage appartiene alle donne: sono loro a riconoscere i corpi e a pretenderne una vera sepoltura, e sono loro a battersi da sole per avere verità e giustizia».

La memoria
Grazie al loro impegno venne realizzato il mausoleo dedicato alle 335 vittime, inaugurato il 24 marzo 1949. «Ma oggi assistiamo allo scempio di quella memoria da parte di un linguaggio eversivo incarnato in istituzioni che parlano del Manifesto di Ventotene come di carta da stracciare. Sentiamo echeggiare una sorta di autoassoluzione collettiva per le nostre responsabilità». Eppure in quel mausoleo, avverte Ponzani, «riposano le radici della nostra Repubblica. Senza quel luogo non avremmo avuto la Costituzione. Non è un caso se Sergio Mattarella, appena eletto presidente, è andato a rendervi omaggio».

La strage delle Fosse Ardeatine – ricorda la storica – fu motivata «dalla necessità di punire una città ribelle, con una rete clandestina di resistenza nella quale tutte le formazioni collaboravano. C’era una media di otto attacchi partigiani al giorno. L’attentato di via Rasella che precede la strage è il culmine di una serie di azioni compiute in città, ed è probabilmente l’atto più importante della Resistenza italiana». Ma della rappresaglia che seguì non sono responsabili i partigiani: «La responsabilità ricade su chi l’ha compiuta, non su chi ha alzato la testa contro l’occupante. La Resistenza non sparava a cuor leggero. I partigiani non sono terroristi o colpevoli sfuggiti all’arresto, come qualcuno ancora oggi dice riprendendo la propaganda del dopoguerra».
La guerra vicina
Michela Ponzani aveva sei anni quando il nonno ex partigiano le parlò del mausoleo e della strage in cui aveva perso uno dei suoi più cari amici. Oggi la guerra è tornata vicino a noi: «È nelle nostre vite e dobbiamo farci i conti, perché non se ne andrà tanto facilmente. Dall’altra parte non c’è Roosevelt, ma una destra suprematista bianca con un’idea di pace di stampo colonialista, calata come una clava sulla testa di popoli inermi che non hanno alcuna voce in capitolo».
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