Cultura

Masneri: «Vi dico che Steve Jobs non abita più qui»

Lo scrittore e giornalista bresciano parla del suo nuovo saggio: un viaggio tra miserie e splendori di San Francisco
Il mito. Steve Jobs in una foto d’archivio del 2007
Il mito. Steve Jobs in una foto d’archivio del 2007
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L’America? «È un grande Paese che, nonostante tutti i difetti, è la maggiore democrazia del mondo - afferma lo scrittore e giornalista bresciano Michele Masneri -. Intanto per le dimensioni: muoversi negli Stati Uniti è come viaggiare in un continente perché è un territorio immenso».

L’America vista con la lente della curiosità critica attraverso gli splendori e le miserie di San Francisco. Sotto il sole californiano le grandi potenze economiche hanno nomi e volti riflessi nel firmamento degli eletti, come Mark Zuckerberg o Steve Jobs. Partendo da uno di questi miti moderni, Michele Masneri ha scritto un saggio che è cronachistico, narrativo e investigativo della città e della Silicon Valley.

Il racconto del Grande Paese attraverso fatti e persone - vero scavo sociale e psicologico -, rivela in «Steve Jobs non abita più qui» (Adelphi, 253 pp., 19 euro) un mondo fantastico e roboante, con tecnica schietta e incisiva che fa di un prezioso e documentato reportage una sorta di biografia - sia pure parziale - dell’America del XXI secolo.

«Sono andato a San Francisco nel 2015 per i fatti miei - precisa -, mi sono innamorato del posto. Con il giornale per cui lavoro abbiamo deciso di andare lì per un po’ di tempo come corrispondente italiano, l’unico presente nella zona per un paio d’anni».

Chi sono i siliconvalliani più in vista? Mark Zuckerberg, il padrone di Facebook, l’uomo che trasmette un’immagine spavalda e geniale dell’America, è uno dei simboli in assoluto della Silicon Valley. Quando sono andato lì nel 2016, nella Silicon Valley aveva una fama e un’aura di nobiltà: tanti personaggi pensavano che Zuckerberg potesse fare il presidente degli Stati Uniti dopo Trump. In questi anni invece è cambiato tutto: sono venuti fuori i casi in cui Facebook è stata accusata di rubare i dati alle persone, e di veicolare tutti i messaggi su Twitter. Ora, lui e altri personaggi che qualche anno fa erano degli dei, sono diventati quasi dei mostri: e lo scenario cambia in continuazione.

Anche i giovani criticano Zuckerberg? I giovani sono molto indignati. Nel 2016, quando da noi Zuckerberg era ancora un idolo, in America era già odiato perché San Francisco e la California hanno da sempre una coscienza politica e sociale molto di sinistra e molto attenta ai diritti individuali. C’era un contrasto assurdo. Lui abita nello stesso quartiere dove abitavo io, Mission (ricordo dell’antica missione dei francescani) e vidi dei cartelli con la sua faccia che dicevano: «Via i fascisti dalla Mission». Mi fecero impressione perché quello che da noi era considerato un imprenditore di genio, lì era al centro di contrasti furiosi. 

Nel titolo del libro cita Steve Jobs: un guru, un grande uomo, o solo un inventore fortunato, ma anche piuttosto duro e un po’ intrattabile? Quella di Steve Jobs è una figura complessa. Tutti sanno che aveva un carattere tremendo ed era pieno di contraddizioni. La parola d’ordine era: compiacerlo. Quando, dopo un centinaio di no, arrivava un sì, erano tutti contenti. L’uomo più ricco del mondo, uno dei geni in assoluto, è morto perché scelse di curare il suo cancro con metodi alternativi rispetto alla scienza medica più avanzata. Ci si chiede che cosa lo ha fatto deviare dalla strada della scienza.

Come sono a Cupertino gli stabilimenti della Apple, che lei è riuscito a visitare? I nuovi uffici della Apple sono stati costruiti in una zona dove il terreno costa sui 7 milioni e mezzo all’ettaro, come mi disse un imprenditore che abita proprio a Cupertino, mostrandomi orgoglioso la sua villa in stile provenzale, con un orto e una piscina la metà di quella che avevano i miei compagni di scuola a Brescia, figli di elettricisti. Visitare lo stabilimento è stato un colpo di fortuna, perché non fanno entrare nessuno. Steve Jobs mostrò i progetti della "nave spaziale", ovvero l’anellone aziendale disegnato da Norman Foster, al consiglio comunale di Cupertino a giugno 2011 e morì l’ottobre dopo. Jobs, che era un progressista e un innovatore, ha costruito una specie di immenso mausoleo a se stesso: un anello dove una volta entrato non riesci più a vedere fuori. Tutto lì appare quasi un po’ sinistro.

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