Cultura

Mannarino, al Vittoriale una certezza della canzone d’autore

Pubblico entusiasta a Gardone Riviera per il cantastorie, che ha aperto l’edizione 2023 di «Tener-a-mente»
  • Il concerto di Alessandro Mannarino al Vittoriale
    Il concerto di Alessandro Mannarino al Vittoriale
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AA

Giù il cappello di fronte al cantastorie Mannarino, certezza della canzone d’autore. Ha regalato un debutto spumeggiante a «Tener-a-mente» 2023: col sold out registrato già in prevendita, ieri sono piaciute qualità d’esecuzione ed empatia dell’artista e della sua band, protagonisti di uno show popolare ad altissimo gradimento, appassionato, coinvolgente.

Sono passati dieci anni da quando Alessandro Mannarino cominciava a girare l’Italia con «Corde: concerto per sole chitarre» (poi replicato nel 2015), affiancato dal formidabile Fausto Mesolella degli Avion Travel, mancato nel 2017 e il cui spirito (nonché la voce e musica per «Tulipani», intro registrata al concerto) aleggiava ieri pure sulla versione aggiornata di uno show che rivendica con orgoglio la propria anima acustica e chitarristica, impreziosita da archi, cori e percussioni leggere, per trasmettere vibrazioni di legno e intimità.

Look total black, chioma da samurai, il cantautore attacca con «Un’estate», che ha un’armonizzazione sontuosa e un coro che diventa strumento aggiunto. Poi è il turno di «Fiume nero», una filastrocca col finale in crescendo percussivo. Con «Congo» sale il livello di impegno sociale ma non cala quello degli arrangiamenti, che mescolano suggestioni africane e richiami al western folk del Dylan anni ‘70. Quindi arriva un trittico contro la guerra: «Deija» è un sussurro salmodiante (riferimento alto all’irraggiungibile Leonard Cohen), «Apriti cielo» una trascinante danza da indiani metropolitani, «Cantaré» un inno che non disdegna la malinconia.

Liriche ben scritte, note calde, melodie avvolgenti, e nonostante il romanesco il discorso resta caparbiamente universale, senza provincialismi: il languore può sembrare un cedimento (alla Capossela prima maniera), ma lo sguardo sul mondo non si arrende mai alla delusione, scacciando la tristezza con il canto, la rassegnazione con la presa di posizione. Si rivolge al pubblico: «Adesso faccio canzoni tristi, che in questo posto dove bisognava essere uomini forti magari non ci stanno benissimo... ma io ai superuomini ho sempre preferito gli ubriaconi, i disoccupati». Dalla platea giunge un «Viva D’Annunzio!», a cui ribatte pronto: «Viva Gramsci!».

Scorrono pagine di incertezza esistenziale («Gente», «Le rane») accompagnate a mistiche controcorrente («Maddalena»), struggenti parole d’amore («Signorina», «Scendi giù», «Statte zitta», «Fatte bacia’», «Serenata lacrimosa») e stornelli da risate agrodolci («Er carcerato», «Me so’ ‘mbriacato»), sgangherati ma irresistibili bluegrass («Mariylou»), pizziche stilose («Scetate vajo’»).

Un paio di bis - «Bar della rabbia» e «Vivere la vita» - sono tracce non effimere di uno spettacolo che chiude in ovazione. Buona, anzi ottima, la prima.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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