Cultura

«Mamma parla con me»: tata Adriana spiega come

Amore materno e ricerca scientifica svelano un linguaggio nel saggio di Nancy Cadjan presentato da «tata Adriana».
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Se il bambino picchietta le punte delle dita delle mani tra loro, vuol dire che ha ancora fame e vuole altro latte. Se la madre ritiene che abbia mangiato abbastanza, apre le mani vuote per significare che il latte è finito. Per dirgli che deve fare il bagnetto, la madre si strofina il petto con le mani, mentre per fargli capire che è ora di dormire, poggia la guancia sulla mano come se fosse un cuscino. Sono alcuni dei segni più elementari che intercorrono tra madre e figlio, linguaggio indispensabile quando ancora il bambino non ha imparato a parlare, ma sin dall'età di 4 mesi è in grado di interagire con lei, di seguirla nei suoi spostamenti con lo sguardo, e imparare le sottili regole del linguaggio dei segni.
La maggior parte dei bambini risponde ai segni tra i 7 e i 10 mesi, ma anche molto prima è in grado di rispondere in altri modi per «conversare» con la mamma, farle capire che il suo messaggio è stato recepito.

Su questa suggestiva esperienza in cui l'amore materno e la ricerca scientifica si affiancano, si muove il saggio dell'americana Nancy Cadjan «Mamma parla con me» (Cairo, 281 pp., 16 ; introduzione di Adriana Cantisani), in cui l'autrice spiega alle madri i segni per comunicare con il proprio bambino.
Nota al pubblico televisivo come la «tata Adriana» di «Sos Tata», il fortunato e istruttivo programma in onda su La7, Adriana Cantisani ha un'esperienza vastissima in fatto di bambini, e nessuno meglio di lei avrebbe potuto introdurre lo straordinario manuale dell'esperta americana e istruire le lettrici circa la validità del linguaggio dei segni, «svelato solo di recente grazie a un approccio innovativo alla comunicazione con i neonati».

Abbiamo incontrato Adriana Cantisani.
«Ogni bambino è predisposto a parlare e a comunicare, cosa che ci distingue dagli altri animali - afferma -. I bambini iniziano a muovere le manine verso i 4 mesi perché hanno voglia di conversare e da ciò si sviluppa nei genitori la necessità di usare i segni. Negli Stati Uniti negli ultimi vent'anni, anche negli asili nido e nelle scuole materne, l'utilizzo del segno per comunicare si è esteso, perché certe parole possano essere espresse con un segno che il bambino impara e poi utilizza prima di sapersi esprimere oralmente. I bambini che utilizzano sia il linguaggio orale sia il segno, iniziano a mettersi in relazione molto prima del previsto.

I genitori come devono impostare il dialogo dei segni con il bambino?
Il linguaggio dei segni ha anche una sintassi, e il bambino sin dalla nascita è in grado di riconoscere i sostantivi della sua lingua madre. Sembra che nella mente dei bambini appena nati ci sia già un meccanismo che li porta a riconoscere il sostantivo e le parole che hanno un significato. E sono le prime parole che un bambino comincia a imparare, e le prime che ripete. Per comunicare, il genitore deve prendere oggetti di uso quotidiano del bambino (l'orsacchiotto, il biberon, ecc.) e abbinare alla parola un segno qualsiasi.

In questo procedimento, quanto conta la fantasia?
Tantissimo. Diversi anni fa, quando lavoravo con dei ragazzi con ritardi cognitivi, ci inventavamo gesti e parole. La necessità di andare in bagno era comunicata con un colpetto sull'anca, e il desiderio di un biscotto era espresso con la mano destra che sfregava la sinistra in modo circolare. Nel libro della Cadjan si trovano segni abbastanza universali che si possono imparare facilmente, ma anche in assenza di una guida specifica basta un segno qualsiasi per inventarsi un linguaggio che può diventare anche una sorta di codice segreto tra madre e figlio.

Quanto è importante che la madre conversi con il figlio?
È importantissimo, perché quello che si stabilisce dalla nascita tra madre e figlio è un rapporto di fiducia. Il linguaggio s'impara perché c'è un totale abbandono alla persona dalla quale apprendiamo a parlare, e nei suoi gesti e nella sua mimica facciale, che corrispondono alle parole che emette, il tono di voce stabilisce un ponte comunicativo sempre più solido.

I segni fra madri e figli sono sempre esistiti. Adesso si sta dando ai segni una valenza scientifica. Perché?
È vero, i segni sono sempre esistiti, e penso che siano arrivati prima della parola. I genitori dentro di loro hanno sempre saputo cosa fare, ma oggi vivono in un'era bombardata da tante informazioni, da esserne confusi. In questa confusione, fidandosi anche un po' dell'istinto, sentono un bisogno crescente di decaloghi, manuali e ogni altra cosa utile a perfezionare il rapporto tra genitori e figli. I segni sono l'inizio di un percorso che prenderà il volo verso i 2 anni circa, quando avviene, mediamente, l'esplosione linguistica. E questo percorso può essere aiutato dall'uso dei segni.

Il dialogo tra madre e figlio, come si sviluppa?
C'è qualcosa d'innato nel bambino, che lo porta a comunicare, e l'essere umano è l'unico animale che insegna al suo cucciolo come fare. Un piccolo gorilla può imparare a pelare la banana come vede fare dalla madre, anche se non c'è la volontà dell'adulto d'insegnare al cucciolo. Molti aspetti della maternità vanno oltre l'istinto materno, anche se molte donne non ce l'hanno, ma scatta in tutte una percezione assoluta, una molla che spinge verso un comportamento imprevisto. Nel mondo animale, se un cucciolo nasce difettoso la madre lo abbandona. L'essere umano no, egli è predisposto a insegnare, così come ogni bambino ad apprendere. In questa corrispondenza si realizza la magia del segno e della parola.
Francesco Mannoni

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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