Lucetta Scaraffia sul fine vita: «La morte non è un clic»
La nostra è una società impaziente. Ha cancellato la ricchezza dell’attesa. Lo ha fatto con quella della vita, perché davanti ad un significato così solenne come una nascita si cerca sempre più di accorciare i tempi, con il parto cesareo o indotto, evitando che la nuova vita si affacci al mondo quando è il suo momento, in modo naturale. Accade con la morte: non esiste più la morte naturale.
Un passaggio così solenne è spesso manipolato dall’accanimento terapeutico che è conseguenza, certo, della medicina difensiva, ma anche dalla mancanza del senso del limite. Non esiste nemmeno la morte facile, quella invocata da eutanasia o suicidio assistito. «Invece noi vorremmo che il passaggio dalla morte alla vita e dalla vita alla morte avvenisse attraverso un interruttore, un rapido clic, per dimenticare che si tratta dell’incontro tra due mondi incommensurabili, tra il finito della vita umana e l’infinito dell’immortalità. Anche per chi pensa che sia il nulla: il nulla è un vuoto infinito. La morte fa da collegamento, ma anche da barriera, tra tempo ed eternità. Dunque, non si può considerare una scelta come molte altre prese nella vita». Lucetta Scaraffia, storica e giornalista, già direttrice del mensile dell'Osservatore Romano Donne Chiesa Mondo, è stata la protagonista ieri sera di un partecipato incontro organizzato dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura nel salone Bevilacqua dei Padri della Pace per affrontare l’attualissimo tema del fine vita (lo si può rivedere sulla pagina Facebook della Ccdc). Un contributo importante nell’arricchire e sollecitare la riflessione è giunto da un medico - Alberto Giannini, direttore Anestesia e Rianimazione pediatrica dell’Ospedale dei Bambini al Civile - e da un giurista, Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale all’Università Cattolica di Milano.
Scaraffia, autrice insieme al medico palliativista Ferdinando Cancelli del libro «Nella morte a occhi aperti. Cattolici, laici e conflitto dei valori» (edito da Morcelliana per il marchio Scholé) è andata oltre la «trappola» della dimensione solo religiosa della difesa della vita - «un errore dei cattolici detto da una cattolica» - sollevando una serie di obiezioni alla liberalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito «che appartengono ad un più ampio contesto culturale, proprio perché la sofferenza non è solo fisica».
«Il tema del fine vita - ha spiegato Scaraffia - non riguarda solo singoli individui, e non si tratta soltanto di stabilire se un essere umano abbia il diritto di disporre della sua vita o no. Riguarda la cultura condivisa di un’intera società, e non perché le gerarchie ecclesiastiche e i credenti obbedienti vogliano imporre agli altri la loro volontà in proposito, ma perché è un problema collettivo, da discutersi in comune. Non si tratta di diritti individuali e di libertà, ma di molto di più, perché la morte è la chiave di volta di una civiltà, di una cultura condivisa. Il dibattito nel nostro paese è fossilizzato invece in uno scontro tra credenti e non credenti, mentre altrove, come in Francia o Germania, ha coinvolto il mondo laico, una parte del quale sostiene che l’insistenza sulla libertà individuale nasconde una realtà inquietante: legalizzare l’eutanasia è un passo che una società compie verso la cancellazione del divieto di omicidio, mentre con l’abolizione della pena di morte le società contemporanee, in nome dei diritti dell’uomo, hanno fatto la scelta opposta».
La vera illusione è che, essendo in grado di dominare il problema della morte, ciascuno possa impadronirsi della vita. «Non siamo in grado di dominare né l’una né l’altra - ha aggiunto la studiosa - e pensare di poterlo fare è uno spaventoso impoverimento culturale, intellettuale e spirituale. Combattere contro eutanasia e suicidio assistito va oltre l’aspetto medico e giuridico. Tocca la nostra cultura nel senso più ampio, non necessariamente religioso, e che fa di noi degli esseri umani e non degli animali intelligenti».
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