Cultura

Lino Monchieri: figura luminosa del Novecento bresciano

Uomo di scuola, cresciuto all'oratorio della Pace di Brescia, scrittore, testimone dell’epopea degli Internati militari nell’ultima guerra
Lino Monchieri - © www.giornaledibrescia.it
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Dall’insegnamento alla testimonianza civile, passando per i lager tedeschi. Potremmo racchiudere in questo percorso la vita di Lino Monchieri, insegnante e scrittore, testimone intrepido dei più alti valori umani. Cresciuto all’oratorio della Pace, centro educativo di prim’ordine e di resistenza alla protervia fascista, nel 1940 all’Editrice La Scuola fece l’incontro decisivo con Vittorino Chizzolini, con cui condivise impegni apostolici e collaborazioni editoriali.

Nello stesso anno, dopo il diploma magistrale, s’iscrisse al corso di Lingue dell’Istituto universitario di Economia e commercio di Venezia. «Abile e arruolato» alla visita militare (febbraio ’41), l’anno successivo risultava vincitore di concorso per le elementari. Il 1° ottobre ’42 prendeva servizio a Nave. La fine di quell’anno recava con sé la chiamata per il militare all’aeroporto di Padova, dove rimase solo pochi giorni.

Il ritorno a Brescia intensificò i rapporti con il gruppo redazionale de La Scuola, coordinato da Chizzolini. In quel «cenacolo» giovanile, di cui faceva parte anche l’amico Emiliano Rinaldini, dal 1943 si tennero accesi dibattiti sul «da farsi». Lino e altri amici erano favorevoli ad assegnare alle loro attività un più deciso profilo d’impegno politico. Ma il 26 luglio dovette ripresentarsi a Padova. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, il rifiuto di arruolarsi nel nascente esercito repubblicano della Repubblica di Salò lo consegnò all’arresto da parte dei nazisti e alla deportazione in Germania.

La sua via crucis d’internato militare iniziò il 18 settembre nel lager di Wietzendorf. Nei quasi due anni d’internamento, vincendo fatiche per le condizioni di vita bestiali, consegnava a quaderni fortunosamente recuperati testimonianza di ciò che ogni giorno vedeva con i propri occhi e sperimentava nella propria carne. I manoscritti furono poi raccolti (1969) nel volume «Diario di prigionia 1943-1945».

Nulla poté sapere delle tragedie degli amici: Rinaldini, «ribelle per amore», fu trucidato dai fascisti in Val Sabbia (10 febbraio ’45); Chizzolini il 2 marzo, sotto i bombardamenti aerei, perse mamma e sorella, mentre gli edifici de La Scuola furono gravemente colpiti.

Per Lino, l’«epopea» del ritorno si concluse il 29 giugno 1945. «Sono a casa. Sono vivo. La grande paura è finita. Sono un uomo libero», scriveva nel Diario . «Ritornare non è poco - annotava - ma i primi contatti con la vita sono duri. Sono cambiato, faccio fatica a riprendere il passo con una realtà che non mi appartiene più». Vari amici fecero a gara per accaparrarsi la sua collaborazione in campo ecclesiale, giornalistico, sindacale, politico.

Prevalse la proposta di Chizzolini per riattivare la collaborazione con l’Editrice. Dopo un anno di aspettativa dall’insegnamento, ritornò a scuola ma, sorprendentemente, nel gennaio ’47 presentò le dimissioni: aveva deciso di votarsi alla causa educativa tramite il servizio all’Editrice. Lavorò in azienda per un quinquennio con crescenti responsabilità di redazione e all’Ufficio di Propaganda e pubbliche relazioni. Nel frattempo si laureò in Pedagogia al Magistero di Torino (marzo ’47) e convolò a nozze (26 giugno ’48) con Lina Tridenti, maestra vicentina, già staffetta partigiana.

Dopo un quinquennio alle dipendenze de La Scuola, nel 1952 fu riammesso nell’insegnamento, che lo portò a divenire direttore didattico nel 1962 e ispettore scolastico nel 1972. Ma la collaborazione con l’Editrice non s’interruppe mai. Monchieri fornì contributi rilevanti per i testi scolastici, rivelandosi altresì come scrittore fecondo di letteratura per ragazzi. Dagli anni Sessanta, il suo impegno letterario si connotò sempre più nel segno di una testimonianza etico-civile. Ne davano conferma i volumi «Buongiorno Europa» (1968) e «Germania andata e ritorno» (1986), editi da La Scuola.

Uomo di ferme convinzioni religiose e democratiche, nonché di caldi sentimenti, sorretti da invidiabile capacità comunicativa, Monchieri sentì il dovere di testimoniare per non dimenticare, guardando però avanti, al nuovo da edificare. Oratore richiestissimo, sapeva parlare al cuore dei propri interlocutori. «Non ho mai avuto altra ambizione - ebbe a dire - se non quella di giovare ai più indifesi. Ciò che ho fatto (e ho scritto) l’ho "sentito per amore", in quanto ragione prima della mia esistenza».

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