Cultura

Lingiardi: «In un'epoca di algoritmi, abbiamo ancora bisogno di enigmi»

Lo psichiatra e psicanalista è autore del saggio «L’ombelico del sogno»: ne parlerà domani in un workshop a Brescia, in via Garzetta
Psichiatra e psicoanalista, Vittorio Lingiardi sarà ospite domani a Brescia all’Università Cattolica - © www.giornaledibrescia.it
Psichiatra e psicoanalista, Vittorio Lingiardi sarà ospite domani a Brescia all’Università Cattolica - © www.giornaledibrescia.it
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Il sogno, scrive Vittorio Lingiardi, «è un animale selvatico che gli esseri umani hanno cercato di catturare in molti modi». Evento psichico da interpretare, fenomeno neurologico complesso, fonte di creatività per gli artisti («Vado a letto come a teatro: per vedere sogni» scrive la poetessa Marina Cvetaeva), il sogno contiene sempre qualcosa di insondabile, un momento - osservava Freud - in cui «si affonda nell’ignoto».

È in quel punto che si raggiunge «L’ombelico del sogno», il titolo del libro (Einaudi, 184 pp., 12 euro) che Lingiardi - psichiatra e psicoanalista, docente di Psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma - ha dedicato alle nostre immersioni notturne nell’inconscio. L’autore ne parlerà a Brescia domani, 12 gennaio, dalle 14 in un workshop organizzato (in via Garzetta 48) dalla Scuola di specializzazione in Psicologia clinica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Prof. Lingiardi, la sua lezione bresciana si intitola «Elogio del sogno». Perché ricordarne l’importanza?

«Perché in un’epoca di ipersemplificazioni e prevedibilità algoritmiche abbiamo bisogno di complessità e di enigmi. Il sogno pone molte domande e obbliga al dialogo tra discipline: psicoanalisi, neuroscienze, letteratura. Ma chiama in causa anche la politica. Oltre ai sogni della notte, infatti, ci sono i sogni collettivi che esprimono il desiderio e la speranza di un futuro migliore».

Nel libro affronta una discussione antica: i sogni hanno o no un significato?

«Freud definisce il sogno una "formazione psichica densa di significato". Per molto tempo è stato considerato un fenomeno divino o comunque soprannaturale; oppure, al contrario, un evento casuale, privo di significato. Oggi sappiamo che è almeno tre cose: un’esperienza personale e incomunicabile che avviene nella solitudine del sonno; un ricordo pieno di lacune che si presenta al risveglio; un evento neurale misurabile. A me piace definire il sogno "il pensare di quando dormiamo", un fenomeno neurofisiologico e psichico con un ruolo importante nella nostra vita cognitiva ed emotiva».

Lei ricorda infatti che per Freud il sogno è «una forma particolare di pensiero»...

«In modi diversi la psicoanalisi e poi le neuroscienze ci hanno insegnato che sognare è una funzione della mente, una forma visiva di pensiero capace di rappresentare stati mentali, consolidare ricordi, metabolizzare emozioni e sensazioni, mettere in relazione diversi stati del sé, elaborare esperienze traumatiche e persino risolvere problemi! Oggi la funzione dell’analista non è più tanto quella di "svelare" i contenuti nascosti di un sogno, ma di sviluppare, insieme alla persona in analisi, una narrazione individuale».

Il sogno come «quintessenza della narrazione»: siamo tutti narratori involontari?

«Decisamente sì. Uno dei motivi per cui ho scritto questo libro è proprio per ricordare che abbiamo un inconscio, al tempo stesso personale e collettivo, che promuove racconti involontari e potenti. Il sogno è un’officina neuro-letteraria personale, una narrazione notturna inconsapevole che produce e promuove ricordi, emozioni, pensieri. E può portare associazioni nel dormiveglia. L’ascolto dei sogni mi spinge anche a pensare che la nostra vita onirica riflette qualcosa della nostra struttura psichica, addirittura della nostra personalità».

Il mondo tecnologico e virtuale in cui siamo immersi ha un’influenza anche sui sogni?

«Il sogno attinge sempre alla realtà diurna, per poi rielaborarla, reinventarla. E la nostra realtà diurna oggi è fatta sempre più di tecnologie e virtualità. Ma alla fine è sempre il lavoro onirico ad avere la meglio, trasformandola, sull’esperienza diurna che porta con sé. C’è poi la manipolazione tecnologica dei sogni, un’inquietudine raccontata dal cinema, ma io escluderei scenari del genere. Non escludo invece avanzamenti nel campo della neuro-registrazione di ciò che sogniamo, anche se una cosa è "captare" immagini oniriche, tutt’altra è coglierle nel movimento della loro dimensione narrativa».

In conclusione, come dovremmo guardare ai nostri sogni?

«Ricordo un paziente, un manager molto pragmatico, che verso la fine dell’analisi mi disse: "Non avrei mai pensato che i sogni servissero a qualcosa". "E a cosa servono?", gli chiesi. "A stare meglio quando siamo svegli", mi rispose. Una bella risposta. Ascoltare la vita onirica ci avvicina a noi stessi, ci permette di capire che in noi conteniamo altri mondi. Questa consapevolezza è un modo per curare l’interiorità. Nei sogni abitano i ricordi, pensieri, preoccupazioni, desideri, paure. Ciò che non sappiamo e ciò che non capiamo, ma che siamo».

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