Cultura

L'autarchia verde per dare un futuro alla terra

Ruzzenenti ha esaminato l'esperienza italiana durante il fascismo: come sviluppare le risorse e le fonti rinnovabili.
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Illusi, ciechi, ingannati o distratti, gli uomini dei Paesi ricchi non si avvedono di ballare su una nave che pare inaffondabile, ma somiglia al Titanic. Credono al benessere illimitato, garantito da risorse inesauribili, perpetuano il modello di sviluppo economico basato sullo sfruttamento del petrolio, senza notare lo spettro della crisi ecologica e sociale globale che si avvicina, inevitabilmente. A meno di un cambio di rotta deciso, che rifondi l'economia del pianeta, passando dal combustibile fossile alle fonti rinnovabili. Dall'oro nero al sole, dal greggio alle risorse naturali riproducibili. Cambiare direzione, evitando la catastrofe, si può. Certo, ci vogliono una forte volontà della politica (che non deve più essere subalterna agli interessi economici), il mutamento dei costumi e delle coscienze (sobrietà, risparmio, lotta agli sprechi), l'impegno delle comunità scientifiche (per trovare soluzioni alternative). Sono le tesi espresse nel libro di Marino Ruzzenenti «L'autarchia verde», sottotitolo: «Un involontario laboratorio della green economy». Il volume è documentato, ricco di stimoli. Gli interrogativi e le risposte dell'autore (alcune coraggiose, altre irrealistiche) non lasciano indifferenti, comunque si giudichino.
L'analisi parte dall'esperienza italiana (ma non solo) maturata dal 1935 agli anni della guerra mondiale. Un periodo breve, in cui il nostro Paese ha dovuto arrangiarsi: trovare sul suo territorio le risorse per mangiare, vestirsi, scaldarsi, muovere fabbriche e automobili. Rendersi, cioè, il più indipendente possibile dall'estero. Una circostanza alimentata dalla volontà di potenza del regime fascista, ma che non inficia la bontà di taluni risultati. Intendiamoci: nessuna difesa del regime da parte dell'autore, piuttosto la valutazione di scoperte tecnologiche, applicazioni, sperimentazioni che, per l'autore, potrebbero tornare utili oggi. Perché se allora l'autarchia fu per l'Italia una scelta politica volontaria (sulla base del fatto che non avevamo materie prime), domani - secondo Ruzzenenti - sarà obbligata per tutti. Un inciso: l'autarchia non fu percorsa solo dall'Italia o da altri Paesi totalitari. Dopo la crisi del 1929 anche gli Stati Uniti, ad esempio, col New Deal, inaugurarono una politica protezionistica, tutta interna, per valorizzare le risorse nazionali.
L'Italia ne aveva alcune molto preziose: la terra e i suoi prodotti, il sole, l'acqua, l'ingegno, la tradizionale frugalità della sua gente. Fu basandosi su di esse che l'autarchia produsse buoni risultati in alcuni settori come le fibre tessili (da sostanze animali o vegetali), l'energia (l'idroelettrico), la chimica, i metalli (l'alluminio), i carburanti; aprendo vie originali in altri, come il solare, l'eolico, il metano. Il conflitto e il petrolio a basso costo del dopoguerra archiviarono quella stagione. Ora, ragiona Ruzzenenti, è tempo di riaprirla, mettendo in preventivo uno stile di vita più frugale.
Il libro sarà presentato martedì 24 alla Fondazione Micheletti di via Cairoli alle 17.30. Presenti, oltre all'autore, Andrea Di Stefano e don Gabriele Scalmana.
Enrico Mirani

L'autarchia verde
Marino Ruzzenenti
Jaca Book, 295 pagine
25 euro

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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