La poesia di Emily Dickinson incontra l’ingegno di due bresciani

Ci sono parole e disegni brescianamente concepiti e calibrati a dare nuovo slancio all’originario rimare in inglese di Emily Dickinson (Amherst, 1830-1886) della quale Morcelliana porta oggi (8 novembre) in libreria «Ho trovato le parole per ogni pensiero» (176 pagine, 20 euro), nuova antologia curata e tradotta da Franco Lonati, professore associato di Letteratura inglese e americana all’Università Cattolica di Brescia, e illustrata dall’altrettanto bresciana Maria Lojacono.
Raccoglie una sessantina di componimenti della poetessa statunitense nel libro che sarà commentato - presenti curatore-traduttore e illustratrice bresciani - il 3 dicembre alle 18 alla Libreria della Cattolica (via Trieste 17/d) dalla giornalista e critica teatrale Paola Carmignani; e poi a gennaio all’Aab/Associazione Artisti Bresciani per la parte iconografica della 30enne disegnatrice.
«È la prima volta che traduco la Dickinson - ci racconta il prof. Lonati - anche se questo è il mio terzo libro che si avvale di illustrazioni di Maria Lojacono, dopo quelli su Arthur Conan Doyle e Oscar Wilde nel quadro di annuali edizioni pre-natalizie di Morcelliana su testi meno noti di autori famosi».

Professore, com’è strutturata l’antologia?
È una raccolta, il cui titolo viene da un suo verso, che ho scremato fra le 1.800 liriche della sua produzione scoperte dopo la morte, nonostante avesse disposto che venissero distrutte: ci sono le più note, ma anche chicche semisconosciute. L’accompagna una mia prefazione critica e biografica sull’autrice ed è scandita in sezioni che citano i temi cari alla Dickinson: natura e bellezza; morte e immortalità; amore e dolore; fede e religione; poesia e sensibilità.
Com’è stato accostare i testi di una delle più celebrate autrici di poesia della letteratura, famosa anche per liriche brevi, quasi degli... haiku made in Usa, e per l’efficacia di certi folgoranti versi e allegorie che oggi potrebbero fungere da... sublimi “claim” (si pensi a «L’acqua, la insegna la sete») da copywriter?
La sua poetica è ancora attuale, a volte enigmatica, ma con linguaggio molto fresco, senza arcaismi criptici. Semplice, ma profonda, con immagini che effettivamente s’imprimono nella memoria. Alcune poesie sono brevissime, anche di soli quattro versi; in altre più complesse emerge anche la sua personalità non ortodossa, con una complessità di costruzione e lessicale che le derivava anche da un’istruzione extrascolastica e dall’aver fatto una vita quasi claustrale in casa, non venendo così condizionata da canoni poetici precedenti.
E dunque, come è stato confrontarsi col linguaggio di metà Ottocento di un personaggio così singolare e atipico?
In realtà quello della Dickinson è un linguaggio modernamente vivo, salvo alcune convenzioni d’epoca. Ma devo dire che con l’Inglese succede sempre: è una lingua che è cambiata molto meno di quanto i secoli facciano immaginare; quella dell’800 è più o meno quella che usiamo oggi, a differenza dell’Italiano che muta parecchio, tanto che una traduzione Anni ’50/’60 suona oggi arcaica.
Come ha lavorato sulla traduzione?
La mia metodologia di traduzione è volutamente attenta, letterale: cerco di non sovrascrivere, non forzare né vocaboli né senso anche quando in Italiano potrei trovare qualcosa di più aulico. Tradurre è un servizio, non un’esibizione o riscrittura. Anche perché l’Italiano, pur più ricco dell’Inglese nell’esprimere differenti concetti, talora non ne ha di corrispondenti al preciso senso che l’Inglese indica. Certo, alcune parole sono più apertamente interpretabili: per esempio in ’Wild Nights – Wild Nights!’ che la poetessa dedicò al legame pieno di passione per la cognata, in un’atmosfera di trasporto amoroso, quel ’wild’ potrebbe valere per ’selvagge’ o altro; io ho scelto ’sfrenate’. È solo un esempio, ma traducendo occorre rispecchiare il concetto pensato dall’autore anziché crearne uno nostro.

Le dunque “sfrenate” notti della Dickinson rivisitate da Lonati in meditata traduzione, in fondo rispettano l’enunciazione nel titolo dell’antologia: essere cioè «le parole (giuste) trovate per ogni pensiero».
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