«La grandezza di Gentile da Fabriano negli affreschi in Broletto»

Romeo Seccamani (Anfo, 1941) presenta oggi alle 18 nella sede dell’Associazione Artisti Bresciani, in vicolo delle Stelle 4 in città, il suo ultimo libro «Romanino e Pasolini. L’altro Rinascimento» (edizioni La Quadra). Con l’autore dialogheranno l’editore Tino Bino, Elena Bonardelli e Iside Pasini, studiose di letteratura e storia, e Massimo Tedeschi presidente della Aab.
Seccamani, pittore, scrittore e restauratore, convogliando la sensibilità e le competenze acquisite con la sua poliedrica attività, in questo volume propone un’originale riflessione sull’arte rinascimentale che a partire dalla sua concezione sull’origine, l’evoluzione e lo scopo dell’arte in generale, si sofferma sull’importanza innovativa del colore, che è per lui prima di tutto musicalità ed armonia, nello sviluppo del Gotico umanistico.
Seccamani analizza le caratteristiche peculiari della Scuola bresciana e dei suoi più importanti protagonisti, Romanino in primis, che con la carica espressiva e tormentata della sua arte aveva conquistato anche Pier Paolo Pasolini, di cui il volume riporta l’intervento al Teatro Grande nel 1965 in occasione del dibattito intorno alla figura del maestro. Abbiamo intervistato l’autore.
Seccamani, ci spiega cos’è l’Altro Rinascimento di cui parla nel suo libro?
«Durante un convegno del 2019 dedicato alla presenza di Gentile da Fabriano a Brescia, a cui partecipai in qualità di restauratore e scopritore dei resti del capolavoro dell’artista nel palazzo del Broletto (gli affreschi nella Cappella Palatina, ndr), ho avuto modo di trovare conferma negli interventi di studiosi come Lorenza Mochi Onori e Fabio Marcelli di un’idea che mi ero fatto nel 1985 trovandomi di fronte per la prima volta quei frammenti. Come sostenuto da Keith Christiansen in occasione della grande mostra del 2006 sul maestro marchigiano, non solo Gentile era stato il più grande interprete del Gotico internazionale, ma fu anche il fautore di un diverso Rinascimento, di un Umanesimo pittorico che diede vita ad un’interpretazione della realtà non conforme a quella proposta dal prevalente Rinascimento fiorentino. Un’interpretazione capace di trasmettere nell’arte il senso stesso della vita e che definì orizzonti pittorici differenti nel Nord Italia, dal realismo lombardo al pittoricismo veneto».
L’influenza fu determinante in ambito bresciano?
«Indubbiamente. A Brescia, dove soggiorna per almeno sei anni in qualità di pittore di corte dei Malatesta, Gentile realizza uno dei suoi massimi capolavori. Sono convinto, e cerco di dimostrarlo, che la grandezza della sua arte avesse trovato espressione completa proprio nelle pitture murali, purtroppo quasi totalmente perdute. Fortunatamente possiamo intuire questa grandezza, sia creativa che tecnica, nei pochi frammenti superstiti, oltre a quelli della Cappella del Broletto, anche quello della Madonna del Duomo di Orvieto. Nel libro spiego come l’influenza di Gentile abbia ispirato pittori come Vincenzo Foppa, che si è formato proprio negli anni di massimo interesse per la cappella gentiliana, e in seguito Savoldo, Moretto e Romanino, artisti che come nessun’altro hanno saputo trasferire una sensorialità emotiva nella loro pittura».

In particolare lei si sofferma su Romanino, offrendo un’analisi molto appassionata della sua pittura. In cosa consiste la “rivoluzione” che gli attribuisce?
«Partendo dall’analisi delle sue opere, come gli affreschi di Ghedi conservati a Budapest che ci mostrano un autore sicuramente formato da un classicismo tardo quattrocentesco, arrivo a dimostrare come tra il 1509 e il 1510 avviene in lui una trasformazione repentina, un mutamento di stile rivoluzionario che lo conduce a quel linguaggio così dinamico e vitale che scaturisce da un’idea nuova dell’arte, il cui innato valore poetico non dipende tanto dall’invenzione formale, né dai simbolismi grafici e cromatici, quanto dal valore espressivo del segno e del colore impresso dall’emozione e dal sentimento. Penso che la cappella gentiliana possa avere influito in modo determinante sull’estro anticlassico di Romanino, così inquieto ed ironico. Se Tiziano per certi versi ha anticipato l’Impressionismo, Romanino ha sicuramente anticipato l’Espressionismo».
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