Cultura

«La cultura e la speranza di Paolo VI per salvare la democrazia»

Il professor Andrea Riccardi introdurrà i lavori con una riflessione sui regimi democratici
Nel nome di Paolo VI tre giorni di studio a Concesio - © www.giornaledibrescia.it
Nel nome di Paolo VI tre giorni di studio a Concesio - © www.giornaledibrescia.it
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Sarà il professor Andrea Riccardi ad aprire i lavori del XVI Colloquio internazionale di studio promosso dall’Istituto Paolo VI che da oggi a domenica nella sede di Concesio riunirà storici italiani ed europei per riflettere sulla questione della democrazia e la visione di Paolo VI.

Il professore Andrea Riccardi - Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
Il professore Andrea Riccardi - Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it

Lei è a Brescia per una due giorni tra la Morcelliana e l’Istituto Paolo VI, nel segno di Giovanni Battista Montini. Che valore hanno questi appuntamenti?

Penso che siano un riconoscimento del fatto che a Brescia c’è ancora un lavoro di pensiero, di riflessione che parte dalla cultura di ispirazione cattolica, in dialogo aperto con le problematiche del nostro tempo. Abbiamo celebrato i cent’anni della Morcelliana: fa impressione salutare un secolo di vita di una casa editrice nata proprio quando, in Italia, si chiudevano gli spazi con l’avvento del fascismo e in Europa dominavano i regimi nazionalcattolici. È la storia di un’amicizia pensosa che ha avuto tra i suoi protagonisti Montini, Bazoli, Minelli. Una cultura pensosa che attribuisce un grande valore a un umanesimo spirituale.

Con il XVI Colloquio internazionale dedicato alla visione di Paolo VI sulla democrazia, ci sarà un ulteriore momento di riflessione.

Io ho il compito dell’introduzione e non parlerò del carteggio di Montini. Partirò dallo stato della democrazia, che non è buono: solo il 45% della popolazione mondiale vive in un regime democratico. Anche qui vediamo il fallimento della globalizzazione, che sembrava assicurare pace e democrazia ovunque con l’apertura dei mercati. Invece, in molte parti del mondo, le democrazie si stanno restringendo. Penso all’Africa, all’affermazione delle autocrazie, o alla critica della democrazia come modello occidentale. Credo sia giusto tornare alle radici della nostra democrazia, all’idea montiniana e anche a quel crogiuolo bresciano fatto di idee, lavoro, economia, fede, amicizie. Questo piccolo mondo che ha voluto giocare un ruolo nella storia e che vuole Montini a Roma e poi al Vaticano. È tutta la storia di Giovanni Battista Montini e del suo lavoro per la democrazia: un lavoro culturale, di formazione, di paziente speranza.

La questione della democrazia è quindi un tema di stringente attualità.

Sì, appare ancora più significativo in un momento come l’attuale, in cui la globalizzazione ha tagliato fuori i valori dell’umanesimo, in cui non ci sono maestri. Anche perché la politica europea da sempre si leggeva attraverso l’incontro tra la cultura e la politica. Oggi invece si è ridotta a cultura e televisione o a cultura e social. In questo l’umanesimo si è affievolito. Non solo: siamo in un momento in cui la destra populista e sovranista è forte in Europa e nello stesso tempo questa Europa è sola, perché l’alleato americano appare discontinuo, mentre cresce la minaccia dall’Est.

Guardando all’attualità, il caso Israele appare come un banco di prova drammatico per la democrazia.

Ci troviamo davanti a un dramma enorme con i bombardamenti su Gaza, la popolazione affamata, lo spostamento delle persone. Al tempo stesso ci troviamo di fronte al sadismo terrorista di Hamas che trattiene prigionieri israeliani. E naturalmente noi parliamo di Israele come unica democrazia in Medio Oriente. Questo mi fa molto pensare. Allo stesso modo penso agli anni ’90, dopo la caduta del muro, quando in Africa si verificarono grandi transizioni democratiche. Oggi invece si propongono modelli antidemocratici. Penso al Burkina Faso di Traoré, presidente anti-occidentale vicino a Mosca. Lo stesso vale per la guerra in Ucraina: non tutti i Paesi hanno sostenuto l’Unione Europea, mentre molti regimi autoritari hanno espresso simpatia per Putin. L’incontro di Pechino è stato un fatto significativo. Mi preoccupa che l’India, la più grande democrazia del mondo, pur con la leadership di Modi, abbia introdotto limitazioni. Ancora di più mi preoccupa lo spostamento verso la Cina a causa della politica dei dazi. Diceva Winston Churchill: la democrazia è un sistema di cui tutti si lamentano, ma è anche quello a cui aspirano coloro che vivono senza. Nessuno dice che la democrazia sia perfetta. Ci sono democrazie fortemente imperfette, gravemente imperfette. Ma la vera forza della democrazia è che è perfettibile, cosa che non è la dittatura.

Resta il fatto che siamo in una fase critica della politica internazionale.

Credo che questo sia davvero un momento, come diceva Francesco, non di epoca di cambiamenti, ma di cambiamento d’epoca. Siamo disorientati di fronte a una carta geopolitica che è ruotata e quasi ci ha capovolto. Per leggere il mondo non bastano le emozioni, e tra queste metto una delle più diffuse: la paura. Non basta l’odio, che va respinto. Serve più cultura, più conoscenza della realtà; infatti spesso noi ci sentiamo impotenti di fonte al mondo e l’impotente diventa indifferente. Ma l’indifferenza è grave: non lascerà mai la storia nelle mani degli altri.

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