Jeff Beck e Johnny Depp si fanno luce a vicenda
Il Mostro Sacro della seicorde e il Divo, ovvero il Protagonista e l’Ospite. Quello di ieri al Vittoriale era un concerto di Jeff Beck, funambolico chitarrista che arriva dall’inimitabile stagione rock degli anni ’60 e ’70 e tornava nell’anfiteatro dannunziano dopo il memorabile show del 2018, mentre Johnny Depp era al suo servizio in alcuni momenti del live - seconda chitarra, voce - dopo essergli stato compagno in studio per «18», album uscito a nome di entrambi.
Buona parte del pubblico (ovviamente da sold out) era in adorante attesa di Depp, ancor più di quanto non lo fosse di Beck: entrambe le categorie di spettatori hanno avuto di che essere ampiamente soddisfatte.
Forma sfavillante
Settantotto anni magnificamente indossati, in forma sfavillante, JB inizia (senza Depp, ma con una ottima bassista, Rhonda Smith, e una batterista da urlo, Anika Nilles) all’insegna di un virtuosismo mai fine a se stesso: prima è «Star Cycle», cavalcata chitarristica che fu il vertice qualitativo di «There and Back», album solista del 1980; quindi c’è la fusion di «You Know You Know» della Mahavisnu Orchestra; da terza giunge la portentosa «Stratus» di Billy Cobham.
Rock strumentale vibrante, perlopiù, ma con un senso straordinario della melodia; che è ancora più marcata nella dolce ballad «Midnight Walker» di Davy Spillane, a cui fa da specchio «Caroline No» dei Beach Boys: in mezzo alle due, il tiratissimo rock-blues «Big Block», produzione casalinga.
Piovono applausi, che si amplificano con altri notevoli pezzi dal repertorio personale, «Brush with the Blues», «Cause We’we Ended As Lovers» (dal capolavoro «Blow By Blow», del 1975) e «You Never Know», vorticoso collage di saliscendi sonori.
Non c’è un attimo di pausa, ma il primo vero stacco consente al «pirata» del Kentucky un ingresso da star: Depp prima suona la chitarra elettrica in «Rumble» e subito dopo si prende il centro della scena, imbracciando la chitarra classica e cantando con voce profonda la malinconica «This Is A Song For Hedy Lamarr», che egli stesso ha composto per la «scandalosa», umanissima diva della Hollywood aurea, magari pensando al contempo a tutte le donne della sua vita. Qualche incertezza dell’attore nelle interpretazioni successive («Isolation» di Lennon, «Time» di Dennis Wilson, l’ipnotica «Venus in Furs» scritta da Lou Reed per i Velvet Underground) non abbassa l’entusiasmo della platea.
Che riesplode con la imperiale «Little Wing» di Jimi Hendrix, preludio a una tenera galoppata beatlesiana, nuovamente strumentale. Dopo settantacinque minuti vitali e contaminati, i bis sono l’acquasanta e il diavolo (in quest’ ordine): comincia il solo Jeff con il traditional «Corpus Christi Carol», si aggiunge il redivivo Johnny per «The Death and the Resurrection Show», furente rock gotico targato Killing Joke. Tutti in piedi per l’ovazione finale.
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