Jacopo Jenna al Grande: «154 video per indagare il senso della danza»

Il titolo, «Alcune coreografie», può ingannare: non si tratta di uno spettacolo antologico, e non si tratta di un lavoro con pochi pezzi. Il senso di ciò che Jacopo Jenna proporrà a Brescia questa sera alle 20 nella Sala Palcoscenico Borsoni del Teatro Grande di Brescia (biglietti a 18 euro sul sito del teatro e al botteghino) è un esperimento meta-coreografico che usa il video e il corpo per riflettere sulla danza stessa. In scena ci saranno Ramona Caia e un grande schermo su cui scorreranno numerose tipologie di danza: a spiegarlo è lo stesso artista in questa intervista.
Qui si fondono danza e video. In che modo convivono?
La coreografia è costruita tramite la connessione di 154 video di diversi tipi di danza. Cinema e internet, danza e musica sono collegati cineticamente. Ogni movimento si collega al video successivo, e così via. È un lavoro meta-coreografico che ricorda il meta-cinema, che a sua volta unisce tanti video per creare una storia. La danzatrice riporta questa storia nel presente. Le immagini sono originali, non modificate. È la danzatrice che collega tutto.
Questo è uno spettacolo che parla della danza che parla della danza attraverso la danza: ma cos’è, per lei, la danza?
A differenza della coreografia, che è uno strumento per organizzare qualcosa che si muove (in alcuni casi la danza), la danza è più intima, legata al presente e all’essere umano. È qualcosa che si manifesta. Per me è difficile distogliere lo sguardo, al di là dei significati che porta. Il lavoro gioca su questo: non solo su cos’è la danza, ma su come si rimane attaccati con lo sguardo a qualcuno che si muove. Senza livelli di importanza, da Pina Bausch a un balletto virale sui social.

In scena ci sarà Ramona Caia: è uno spettacolo che nasce con lei?
Ci conosciamo da tanti anni, abbiamo collaborato e condiviso molto. Anche su questo progetto, che ha avuto grande successo (siamo alla 41esima replica). La mia idea sembrava impossibile, ma lei si è prestata al lavoro e alla costruzione della coreografia, al montaggio dei video, creando una relazione tra la danza del passato, dei fantasmi, e quella del presente. È una sorta di passo a due: Ramona lo vive come una coreografia unica, come un flusso. Un lavoro catartico. Ramona, poi, viene dalla classica, dal Maggio Musicale, quindi è già lei stessa un archivio e fa risuonare gli elementi del lavoro.
La musica è di Francesco Casciaro: come sarà?
All’inizio c’era un gioco: riprendere i suoni di alcuni video. A volte la musica accompagna, altre volte no, creando dissonanze. Francesco, lavorando di cesello, ha agito su più livelli per creare un flusso che trasporti le immagini. E si gioca anche sulla figura della similitudo dissimilis: il tip tap può richiamare certe referenze, la danza africana altre, la danza sacra altre ancora. C’è sempre uno spostamento del pubblico tra rimandi sonori e visivi. Ci saranno una prima e una seconda parte. Nella seconda, il corpo di Ramona assume un’altra definizione e crea un paesaggio nuovo per il pubblico.
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