Ilaria Capua: «Big data e i 4 elementi per tutelare la nostra salute»

Se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato, è a prenderci un po’ più cura della nostra salute. Quanto meno a non dare nulla per scontato, svelando quella fragilità che ci accompagna nel corso della nostra avventura esistenziale.
Siamo tutti sulla stessa barca, ovvero condividiamo la medesima sorte che accomuna gli abitanti del pianeta, uomini, animali e piante. Se guardiamo, però, al livello di consapevolezza che occorre per affrontare i problemi più urgenti, ci accorgiamo che la strada da percorrere è ancora lunga.
Anche una rappresentazione teatrale, con la sua capacità di coinvolgimento e la sua portata «catartica» allora può aiutare, soprattutto nel fare informazione. Partendo da tali presupposti la scienziata e divulgatrice scientifica Ilaria Capua porta in scena il suo «Le parole della salute circolare», con cui giovedì sera sarà al Teatro sociale accanto all’attore Lodo Guenzi. L’abbiamo intervistata.
Professoressa Capua, quali sono queste parole chiave evocate dal titolo?
Mi preme, in primo luogo, ringraziare il collegio Lucchini per avere sostenuto questo spettacolo e per avere colto, portandolo a Brescia, l’importanza di questi argomenti. Ci sono, tanto nel libro quanto nella rappresentazione, delle parole di ieri, come coraggio, determinazione, lungimiranza, di cui dovremmo recuperare il valore; quindi le parole di oggi, ovvero acqua, aria, terra, fuoco e big data per arrivare alle parole di domani, fra cui impegno, equità e rispetto. Dovremmo adottare un nuovo vocabolario che ci renda consapevoli della profonda connessione che lega tutti gli esseri viventi.
Come verrà scandagliato il significato profondo di tali termini?
Li utilizziamo per raccontare episodi sorprendenti che hanno cambiato il corso della scienza. Per esempio “curiosità”, ci permette di ricordare la persona che ha scoperto il microscopio: non uno scienziato, ma un commerciante di tessuti che, a metà del ‘700, voleva capire per quale ragione la lana fosse morbida e il lino ruvido, perciò si mise a “pasticciare” con delle lenti ottiche.
Oppure la parola “coraggio” che viene associata alla figura di John Snow il quale, attorno al 1850, cercò di comprendere come si diffondesse il colera: fece una sorta di geolocalizzazione sulla mappa di Londra, segnando tutti i focolai e scoprendo così che si verificavano in case o scuole servite da una pompa di acqua pubblica. Lo spettacolo si regge come trama e ordito su questi racconti, da cui prendiamo spunto per parlare della biodiversità e di cosa succede sulla Terra.
E per quanto riguarda aria, acqua, terra, fuoco, i quattro elementi della tradizione, correlati ai big data?
I quattro elementi che influenzano e governano la nostra salute possono anche essere studiati con i big data. Lo vediamo con le previsioni meteorologiche e climatologiche. Grazie a questi modelli, oggi siamo in grado di prevedere eventi meteo estremi con una precisione impensabile 30 o 40 anni fa.
Uno dei messaggi che lancio al pubblico è che noi abbiamo grandissime risorse a disposizione per indagare fenomeni che hanno effetti sulla nostra salute, come il cambiamento climatico o l’inquinamento dell’aria. Il che ci conduce nella parte finale a toccare il nostro ruolo di “homo sapiens”, come ci siamo auto-battezzati, lanciando un richiamo affinché questa sapienza e questa conoscenza vengano usate per vincere in maniera coerente e organizzata le sfide future, per noi e i nostri figli.
La pandemia ci ha cambiati? Se sì, in quale senso?
La pandemia da un lato ci ha fatto scoprire la nostra vulnerabilità: è una presa di coscienza importante, poiché ci rendiamo conto di essere parte di un sistema molto più grande, dove un microscopico virus che arriva dall’altra parte del mondo può provocare situazioni drammatiche. Ognuno di noi ha rivisto le sue priorità di vita. Non nascondo che io stessa ho deciso tornare in Europa, perché abbiamo qui tutta la famiglia.
Non mi sembra però che a livello di istituzioni sia stata impressa la svolta tanto auspicata, per esempio nella medicina territoriale…
È l’altra faccia della medaglia: viene anche il desiderio di cancellare questa esperienza speciale, una specie di amnesia collettiva. La cosa che più mi dispiace è che quei medici, infermieri, operatori che furono glorificati come eroi, siano stati pressoché dimenticati. Tant’è che abbiamo una fuga del personale sanitario dall’Italia e dalla sanità pubblica, ed è un male perché si perdono conoscenze e si impoverisce quel servizio che proprio durante la pandemia ci ha garantito la sopravvivenza.
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