Cultura

Il romanzo sul sensitivo Gustavo Rol raccontato dalla sua scrittrice

Francesca Diotallevi ha scritto «L’ultimo mago» (Neri Pozza), libro dedicato all’autore di fenomeni paranormali e prodigiosi più famoso del secolo scorso. Lo presenterà a Castenedolo: l’intervista
La scrittrice Francesca Diotallevi
La scrittrice Francesca Diotallevi
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Torino città della magia, Torino città dei sotterranei arcani. Non è un caso se Gustavo Rol è torinese: il sensitivo del secolo scorso fu una delle personalità più dibattute in Italia. Anche Piero Angela ne parlò nel suo «Viaggio nel mondo del paranormale». All’epoca delle serate e degli incontri di Rol – che ospitava nel suo salotto esperimenti «strabilianti» – il Paese si divise tra chi ne esaltava i prodigi e chi lo relegava a semplice illusionista. «Mago», direbbero alcuni, ma lui stesso disdegnava questo nome.

Si intitola proprio «L’ultimo mago» il romanzo di Francesca Diotallevi edito da Neri Pozza che indaga, attraverso una storia laterale (la vicenda dello scrittore alla deriva Nino Giacosa e delle sue ricerche attorno al sensitivo), la figura di Rol, emblema di una società che amava lasciarsi affascinare dal paranormale, dalla parapsicologia, dalla chiaroveggenza e da tutto ciò che sta al limite della realtà fisica.

Mercoledì 16 ottobre alle 20.30 la scrittrice presenterà il libro nella Sala dei Disciplini a Castenedolo, nell’ambito delle serate «Questa sera a casa di...». Nel frattempo l’abbiamo intervistata. Ma senza chiederle del titolo: «Anche quello è un gioco di prestigio, non svelo nulla».

Francesca, chi è per lei Gustavo Rol?

È la domanda delle domande, ma partiamo col dire che non prendo mai una posizione. Scrivendo il libro mi sono resa conto che nemmeno mi interessa sapere se fosse un uomo prodigioso o, come dicono alcuni, un semplice illusionista. Per me interessante è vedere cosa ha lasciato nelle persone. Ha lasciato tanto sia in chi partecipava alle serate, sia nei suoi detrattori. Anche chi lo criticava ammetteva che fosse un uomo solare, alla mano, umile. Un uomo «alla portata di tutti». Non negava mai aiuto a chi gli si rivolgeva. Quindi, alla fine, posso dire che secondo me è stata una persona positiva che ha dato incanto, meraviglia e speranza.

Le figure realmente esistite sono spesso oggetto dei suoi scritti. Cosa comporta per il processo di scrittura?

Da un lato c’è una traccia da seguire. Dall’altro la difficoltà è doppia, perché bisogna tenere conto di tutta la documentazione. Nel caso di questo libro la ricerca mi ha preso quasi due anni. La scrittura in sé poi è stata più veloce, circa sei mesi. Ho letto, mai sono documentata, ho parlato con persone che lo hanno conosciuto. .. Anche se è un romanzo, si tratta sempre di restituire la personalità del personaggio. Bisogno mantenere la fedeltà.

Qual è il suo rapporto con l’occulto e con la spiritualità?

È un rapporto di fascino. Io non pratico nessuna delle due, è più un fascino che subisco a livello letterario. Sono una grande appassionata di romanzi che trattano questi argomenti. Mi attraggono, ma non sconfino mai nella pratica.

La affascina anche chi crede?

Non sono una persona credente, ma mi incuriosisce osservare chi crede, capire a che livelli può arrivare. Di certo mi intriga il confine con l’impossibile, l’irreale, ciò che si muove sulla soglia della percezione. L’idea che ci sia un confine e che qualcuno lo passi non mi lascia indifferente. Che non ci sia tutto qui è la grande speranza di chi crede, ma anche di chi non crede. Anch’io spero che ci sia qualcosa.

Quando ha deciso di dedicare un romanzo storico – e quindi un’opera di narrativa, non una biografia – a questo personaggio?

Io scrivo romanzi. Il mio interesse verso di lui è stato subito narrativo. Di biografie su Rol ce ne sono tantissime, sterminate, con varie teorie. Ciò che mi interessava non era il suo aspetto leggendario, o capire se c’è davvero qualcosa di reale oltre l’illusione, ma capire l’uomo Rol, l’essere umano.

Nelle sue ricerche dove ha trovato maggiormente l’essere umano?

Ho letto tanto, di tutto, ed è stato molto difficile trovare qualcuno che parlasse di lui in maniera neutrale. Tutti gli scritti partono da un punto di vista soggettivo: amici, conoscenti, persone che l’hanno frequentato... Nel marasma di titoli, quello più interessante trovo l’abbia scritto Remo Lugli, suo amico («Gustavo Rol, una vita di prodigi», ndr). Sua moglie partecipava con lui alle serate e ogni sera trascriveva sul diario ciò che vedeva in casa di Rol. Senza giudizio, solo i fatti. È una testimonianza preziosa.

L’altra protagonista, quasi al pari di Nino e di Rol, è Torino. Il Piemonte non è peraltro nuovo nei suoi romanzi…

Con Torino ho un rapporto strettissimo. Non è la mia città, ma ha sempre esercitato su di me un fascino assoluto fin fa bambina. Ho dei parenti lì e mi sono sempre sentita attirata dalle storie oscure, dal museo egizio, dal fatto che sia per eccellenza la città della magia bianca e nera. Invisibile e visibile, luce e ombre qui convivono. Sotto Torino si dice ci siano grotte alchemiche e che ogni cosa abbia due anime. Un personaggio come Rol non poteva che essere torinese.

Nel romanzo ci sono tanti livelli (la storia, il mistero, le vicende umane) e c’è anche molta introspezione…

Il complimento più bello me l’ha fatto una persona che ha detto che è un po’ dostoevskijano, e in effetti ruota tutto attorno a un personaggio alla deriva, che ha perso riferimenti e vaga nell’oscurità. Un’oscurità reale, perché Torino è fredda, invernale. Ma anche metaforica. Rol è un indagatore di anime e sta dall’altra parte, è il polo che rischiara la strada di questo personaggio perso.

La sua è una scrittura precisa, limpida, quasi classica. Con quali riferimenti è cresciuta?

Non bado tanto allo stile, non penso troppo. Ciò che mi interessa è la costruzione della trama, i personaggi. Lo stile probabilmente risulta classico perché in effetti le mie letture sono molto classiche. Si percepisce forse anche di più nel mio romanzo, «Le stanze buie». Si assorbe ciò che si legge.

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