Il Medioevo a Brescia? Lo svelano le «Carte del Monastero»

È il coronamento di un progetto avviato molti anni fa, il libro contenente «Le carte del monastero di San Salvatore e Santa Giulia di Brescia», edito dal Centro italiano di studi sull’alto Medioevo di Spoleto, che sarà presentato giovedì 23 febbraio alle 18 in città, nella White Room del Museo di Santa Giulia. In quasi 800 pagine sono trascritti e commentati 211 documenti databili dal 759 al 1170, provenienti dall’antico archivio del monastero bresciano e dispersi nei secoli in diversi archivi pubblici e privati.
La ricerca, curata da Gianmarco Cossandi, è stata promossa dal Cesime (Centro di studi per la storia degli insediamenti monastici europei) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, diretto negli anni passati da Giancarlo Andenna e ora da Nicolangelo D’Acunto. Nell’illustrarne i contenuti, il direttore del Cesime è certo: «Abbiamo dato un contributo fondamentale alla storia di Brescia nel Medioevo, con un corpus di documenti che veniva usato in maniera episodica ma che nessuno aveva ancora studiato in modo sistematico».
Prof. D’Acunto, perché è così importante questa documentazione?
Lo è soprattutto perché nel periodo dal 759 all’anno Mille troviamo già 60 documenti, 22 dei quali appartengono all’età longobarda. Si tratta di testi di natura giuridica: sia atti di compravendita o affitto, sia emanati da autorità pubbliche con valore vincolante. Fonti fondamentali, perché Santa Giulia ha la peculiarità di possedere documenti relativi all’età longobarda e carolingia in misura eccezionale rispetto al resto d’Italia. Città intere come Milano, per questi periodi, hanno istituzioni praticamente prive di documentazione.
Cosa si comprende dall’analisi dei testi?
Il nostro monastero, in età longobarda ma più ancora in età carolingia e nel decimo secolo, ha una rilevanza europea. Diventa un punto di riferimento dei carolingi: qui vengono educate le principesse e i carolingi ne fanno uno dei centri nodali della presenza dell’impero nell’Italia centro-settentrionale. I documenti consentono di collocare Brescia in una rete di relazioni istituzionali e politiche altamente significativa, su scala europea. La città è una delle tappe obbligate della comitiva imperiale, un potere itinerante che trova qui uno dei luoghi in cui potersi fermare e affermare.
Cos’altro raccontano le carte sulla vita del monastero?
Possiamo leggerle insieme a un’altra fonte esistente in Italia solo per Brescia: il «Liber vitae» del monastero, pubblicato in un’altra edizione scientifica, i Monumenta Germaniae Historica di Monaco di Baviera. Quel libro contiene liste di nomi che mostrano come esistesse una sorta di internazionale della preghiera: i monaci europei si scambiavano elenchi di persone per cui pregare, monaci vivi o defunti, benefattori, re, regine, vescovi… Accostando il «Liber vitae» alle carte del monastero possiamo trovare le connessioni tra quella testimonianza preziosa e il funzionamento giuridico del cenobio. Possiamo fare i nomi e cognomi di monaci e monache, dei loro interlocutori locali e internazionali, il che per il nono secolo è qualcosa di eccezionale in Italia.
È evidente anche il progressivo consolidamento dei possedimenti monastici?
Troviamo i dettagli di questo radicamento patrimoniale: dove Santa Giulia ha le terre, che cosa si coltiva, quali sono le strategie delle monache nell’urbanizzazione della città. Giancarlo Andenna ha trovato in queste carte i segni di una sorta di piano regolatore delle monache e della lottizzazione di ampie zone della città, in modo tale da renderle popolate e integrate nel sistema sociale, politico ed economico cittadino.
La dimensione religiosa sembra meno presente...
Soltanto in apparenza. La si comprende nel momento in cui arrivano molte donazioni, e qui ce ne sono tantissime. Se la città dona, vuol dire che vede nel monastero un’istituzione che la rappresenta. Nelle carte troviamo i segni dell’adesione della popolazione a questa istituzione, che funziona come un «ospedale» della preghiera dove, anziché salvare i corpi, si salvano le anime.
In quali direzioni possono andare ora le ricerche?
Le ricerche non sono mancate negli ultimi 20 anni, grazie anche al Cesime. Ora c’è da lavorare proprio sulla valorizzazione del nesso - rimasto un po’ nell’ombra - tra i documenti del monastero e i nomi del «Liber vitae» , che consente di valorizzare il ruolo europeo di Santa Giulia tra il IX e l’XI secolo. Molti studi, poi, si possono ancora fare sul radicamento territoriale, sulla distribuzione della proprietà, sulle colture... Il libro contiene una riserva immensa di dati.
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