Il femminismo di Carlotta Vagnoli in scena a Brescia

Andrà in scena venerdì 22 novembre, alle 21 al Dis_Play del Brixia Forum in via Caprera, «Le solite stronze» di Carlotta Vagnoli. I biglietti (25-20 euro) sono disponibili su TicketOne, Vivaticket e alla Libreria Tarantola di via Porcellaga 4 a Brescia.
Scrittrice, autrice e speaker radiofonica, Vagnoli presenta un monologo sagace, per riflettere sui temi della disparità di genere e del ruolo della donna nella nostra società.
L’abbiamo intervistata.
Cosa vedremo in scena e chi sono queste “stronze”?
In scena ci sarò io, dei libri e Francesco Medda Arrogalla che cura la drammaturgia sonora di questo monologo a cavallo tra una stand-up comedy e una lecture, un ibrido in cui cerco di ripercorrere quelli che sono gli stereotipi di genere da sempre più radicati sulla figura femminile. Uno di questi vuole che qualsiasi donna non rispecchi l’idea di «donna angelicata» e faccia rumore sia inevitabilmente chiamata «stronza». Nello spettacolo parlo di Catherine di «Cime tempestose», Anna Karenina, Emma Bovary… donne che così sono state reputate, quando in realtà non lo erano. Ma la stereotipizzazione di genere ci ha chiuso i rubinetti: per alcune donne non riusciamo a provare empatia né a comprenderne il ruolo.
Quali sono le grandi donne che l’hanno ispirata?
Inizio lo spettacolo leggendo un estratto di «Dalla parte delle bambine» di Elena Gianini Belotti, un libro del ’73 che sembra quasi distopico da quanto è iperattuale. Gianini Belotti è stata una figura cruciale per riuscire a capire l’impatto della stereotipizzazione di genere sulle persone di sesso femminile ancora prima che queste nascessero. Iniziare con questa lettura aveva per me un valore affettivo. Leggo anche un estratto di «Stai zitta» di Michela Murgia, reputata una delle più stronze d’Italia, ma che realtà è stata una delle donne che ha saputo maggiormente – e fortunatamente! – alzare il tono della discussione nel nostro Paese.
Che cosa significa per lei essere femminista oggi?
Il femminismo è interpretato nella nostra cultura come qualcosa di terribile, quando in realtà significherebbe avere pari opportunità e diritti rispetto agli uomini cisgender e eterosessuali, che sembra una brutta parola, ma è semplicemente una categoria antropologica e sociologica. Nel 2024, essere femministe, o meglio transfemministe, ha un valore trasversale. Il transfemminismo contempla tutte le marginalizzazioni: dalla lotta di classe ai diritti della comunità lgbtq+. Tutte questioni concatenate tra loro. Essere femminista nel 2024 penso sia ormai una necessità. Lo vediamo ormai anche dalla banale attualità: oggi, aprendo Tik Tok che uso come spettatrice, ho trovato tantissimi contenuti di giovani donne americane che si organizzano dal basso per cercare di fare del mutualismo a fronte di quello che sarà il ridotto accesso all’aborto in alcuni stati federali degli Stati Uniti. Femminismo per me è proprio questo: cercare di fare rete senza lasciare nessuna indietro.
A che punto siamo nel percorso verso una reale parità di genere?
Dicono che ci vorranno più di 150 anni per raggiungere una parità di genere effettiva! Veniamo da anni di grandi cambiamenti: il Me Too e il Black Lives Matter sono stati movimenti centrali nello sviluppo del transfemminismo, che il conservatorismo ha cercato di soffocare per paura del cambiamento e di mettere in discussione i privilegi. Da una parte abbiamo il movimento di conservatorismo occidentale, dall’altra una sinistra liberale che non risponde più alle esigenze degli elettori. Diventa quindi molto difficile portare le istanze trasfemministe lì dove dovrebbero stare, ovvero nelle leggi e in Parlamento. E questo accade proprio perché i movimenti liberali non sono più capaci di leggere e comprendere il presente e questo è un dato di fatto. Finché non avremo una sinistra ben più radicale di quella che abbiamo oggi, non ci sarà grande speranza e alternativa a questo dilagare del conservatorismo.
Quali stereotipi sarebbe prioritario sradicare per primi?
Sicuramente lo stereotipo femminile per eccellenza è quello della donna oggetto. Fin quando penseremo di avere un possesso sui corpi femminili e che questi siano di nostra proprietà in una forma di sfruttamento – dalla maternità o dal cercare di escludere le donne dal mondo del lavoro, in una forma di violenza economica – avremo sempre un grande problema. L’idea che le donne siano nostri possedimenti è forse l’idea cardine di cui si nutre la società patriarcale: non solo ci esclude dai posti di lavoro e ci fa guadagnare meno, ma – fino a quando le donne saranno considerate di proprietà degli uomini che le accompagnano – ci esclude anche da una possibilità di salvezza. Lo sradicamento di questo stereotipo è prioritario. Poi mi interessa moltissimo il discorso del famoso soffitto di cristallo, sotto il quale siamo tutte. Ogni tanto ne esce una, ma non è detto che sia una donna che sta combattendo per tutte le altre – mi viene in mente subito Giorgia Meloni –. L’idea che non ci sia spazio per più di una donna in una posizione apicale. Il mondo per come lo conosciamo non è female friendly.
Progetti per il futuro?
Tra le altre cose, sto lavorando a un progetto che coinvolge università e centri di psicoterapia per svolgere una ricerca a campione sul mindset degli uomini maltrattanti. Cerco di portare questi temi in una forma accessibile e questa sarà la mia priorità anche per l’anno prossimo.
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