Il «crepuscolo» di Kratz in prima nazionale al Grande: l’intervista

Sabato 16 novembre al Teatro Grande ci sarà un doppio appuntamento con la danza contemporanea: sul palco non si esibirà solo il Tanzmainz dello Staatstheater Mainz in Germania con una coreografia di Sharon Eyal, già ballerina di punta della Batsheva Dance Company (qui con «Promise», che mischia il balletto contemporaneo alla musica elettronica).
Il Nuovo Balletto di Toscana presenterà in prima nazionale «Dusk», creazione del nuovo direttore artistico Philippe Kratz. I biglietti sono disponibili da 22 a 34 euro (www.teatrogrande.it e botteghino). Abbiamo intervistato Kratz, per parlare di «Dusk» (che significa «crepuscolo») e del suo nuovo ruolo come direttore artistico della compagnia.
Philippe, lei vive in Italia dal 2008: com’è vivere di arte nel nostro Paese?
Sono tanti anni che sto qui e questa è la realtà che conosco. Non ho paragone. Ma ogni tanto torno in Germania, dove sono nato, e qualche differenza la vedo. Per molto tempo ho lavorato per Aterballetto, una realtà privilegiata, con tutte le difficoltà delle professioni creative in Italia. Ma per quanto ci siano difficoltà, c’è anche un’alta densità di persone valide e di artiste e artisti molto bravi (che però ottengono poco spazio). Da quando ho lasciato la compagnia nel 2021 me ne accorgo maggiormente. Ora sto prendendo in mano una compagnia: è un progetto enorme e sono consapevole che non è semplice lavorare nel settore delle arti performative in Italia, ma sono felice di farne parte proprio qui perché c’è una bellissima creatività. Ecco perché spero che migliorino le condizioni e che siano le istituzioni le prime a creare gli spazi.
Il pubblico italiano è accogliente nei confronti della danza contemporanea?
È sempre strano generalizzare, ma trovo che sia un pubblico ricettivo, che rispetto agli altri non guarda dal basso della platea. Non si mette ad ammirare per forza ciò che succede. Ciò non significa che sia asettico o cinico: cerca sempre di carpire ciò che davvero muove tutto. È un pubblico onesto che non applaude a prescindere. Per esaltarsi ha bisogno di sentire davvero a fondo ciò che sta guardando.
Da luglio è direttore artistico del Balletto di Toscana: come sta andando?
Non posso che ringraziare Cristina Bozzolini, direttrice artistica prima di me, che mi ha dato la possibilità di crescere come coreografo già negli anni scorsi, dandomi tantissime opportunità per mettermi alla prova. Mi ha affidato una delle opere della sua vita. Mi mancava lavorare e collaborare: da quando nel 2021 ho lasciato Aterballetto non ho più vissuto il lavoro di squadra, in quanto libero professionista. Inizialmente, dopo quindici anni in compagnia, è stato liberatorio, ma viene nostalgia della creazione condivisa.
Questa sarà una prima italiana: cosa si aspetta?
C’è stata un’anteprima a Firenze, ma questa è una prima assoluta mondiale. Il duetto è stato creato appositamente per questa occasione: il sovrintendente Umberto Angelini ci ha chiesto un lavoro che si accostasse a quello di Sharon Eyal con il Tanzmainz. Volevo presentare qualcosa di nuovo e mi è parsa l’occasione giusta per mostrare il mio lavoro con la nuova direzione del Balletto.
Di cosa parla quindi «Dusk»?
Siamo partiti da «Aspettando Godot»: non è una narrazione, né teatro dell'assurdo. Non c’è un vero sviluppo della situazione. Ma l’assurdità sta proprio in questo. Come in Godot c’è lo stato dell’attesa. C’è il conversare tra due persone che parlano perennemente non dicendosi nulla, rendendosi conto dell’assurdità della situazione in cui si trovano. Attraverso questo stato creano situazioni tristi. Lo spunto è il racconto, che abbiamo integrato con la musica di Anna von Hausswolff («Sacro Bosco & Theatre of Nature»). È una compositrice svedese contemporanea, qui con due pezzi per organo. È molto stimolante: attraverso il suono pesante ed energizzante i corpi vibrano.
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