Cultura

Il blu di Vermeer nei due grandi teleri restaurati della basilica di Verolanuova

Sono stati presentati i lavori terminati alle tele con la Nascita e l’Assunzione della Vergine realizzati nel 1707
Una delle tele restaurate nella basilica di San Lorenzo a Verolanuova - Foto © www.giornaledibrescia.it
Una delle tele restaurate nella basilica di San Lorenzo a Verolanuova - Foto © www.giornaledibrescia.it
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«L’incontro con l’arte è un momento di osservazione, di scoperta del bello, di crescita ed esperienza di fede»: sono le parole con le quali don Lucio Sala, parroco di Verolanuova, ha presentato ieri la conclusione dei restauri sui due grandi teleri (oltre 10 metri per cinque) del veneziano Andrea Celesti (1637-1712) che ornano l’altare del Santissimo Rosario nella Basilica di San Lorenzo, nel paese della Bassa bresciana.

Le due opere sono «La natività della Vergine», ambientata in un interno, e «L’assunzione della Vergine» immaginata all’aperto, realizzate nel 1707, quando il pittore veneziano aveva 69 anni. Il restauro ha regalato alcune scoperte, come alcuni scorci di cielo azzurro che evidenziano in entrambe un’ambientazione diurna, e non notturna come si era sempre pensato. Dagli studi condotti negli archivi parrocchiali da Laura Sala, storica dell’arte verolese, è emerso nei registri della Confraternita del Rosario che il committente delle tele fu sì Giovan Battista Rota, ma a finanziarne in modo indiretto la realizzazione fu la contessa Eleonora Gambara Mocenigo, che donò alla confraternita una collana di 148 perle con la richiesta di venderla per sostenere l’acquisto di candelabri e dipinti. La collana restò però in famiglia e finì al collo della giovane Elisabetta Grimani, moglie di Carlo Antonio Gambara e committente delle grandi tele di Tiepolo nella cappella antistante.

I lavori sulle tele di Celesti sono stati possibili grazie alla generosità di Barbara Nocivelli e della sua famiglia, in ricordo di Luigi Nocivelli, grande appassionato di arte. Sulle opere è intervenuta la stessa squadra già all’opera su Tiepolo: lo studio Abeni Guerra di Brescia e lo studio Antonio Zaccaria di Bergamo. «La sovrapposizione delle vecchie vernici ingiallite - hanno spiegato Paola Guerra e Antonio Zaccaria - e le estese ridipinture dei precedenti restauri falsavano la percezione creando un caos visivo che non rendeva giustizia al Celesti. Quello che abbiamo fatto è stato un percorso di accurata pulitura, in più fasi e in modo selettivo, per identificare i diversi interventi di restauro svolti nel tempo e soprattutto per valorizzare al meglio il colore originario dei teleri e le pennellate vibranti».

Le indagini diagnostiche hanno rinvenuto tracce di blu oltremare derivato dal lapislazzulo e di vivianite, pigmento blu-verde derivante da un minerale presente in Italia solo in giacimenti in Valdarno e scovato anche in dipinti di Rembrandt e Vermeer. Inoltre, dall’intervento sono emersi i tanti pentimenti (volutamente lasciati visibili dai restauratori) dell’artista sulla posizione e impostazione delle figure, alcune con colore materico e altre leggere, quasi trasparenti; si è inoltre capito che il pittore mescolava direttamente i colori sulla tela e non sulla tavolozza, e dipingeva con grande rapidità; e che le fonti di luce si irradiano dall’interno delle opere, come emanate dai soggetti dipinti.

Coinvolti nel progetto di cura e studio delle opere di Andrea Celesti anche Giuseppe Fusari per la lettura iconografica, la verolese Laura Sala per la ricerca archivistica, la restauratrice Michela Pedretti, Virginio Gilberti per le fotografie, Stefano Volpin e Lucia Giorgi per l’indagine diagnostica e Laura Sala della Soprintendenza di Brescia.  

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