Cultura

Il bacio dopo il naufragio e altre foto di vita e di morte

Il reporter Francesco Malavolta lavora da anni sui temi dell'immigrazione, con lavori di grande impatto e immagini capaci di diventare icone
Francesco Malavolta a Brescia davanti alla foto "Il bacio dopo il naufragio"
Francesco Malavolta a Brescia davanti alla foto "Il bacio dopo il naufragio"
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Lei era certa che il suo amore fosse morto. Lui pensava che non l’avrebbe mai più rivista, dopo che la corrente l’aveva trascinata via.

Ma si sono ritrovati, su una nave di Frontex nel Mare Egeo, e hanno fatto la cosa più semplice: darsi un bacio, mentre attorno venivano salvati i loro compagni di viaggio, dopo che la barca su cui navigavano li aveva abbandonati

Poco distante, con la macchina fotografica pronta, c’era Francesco Malavolta, reporter al lavoro da anni sui fronti dell’immigrazione, dalle acque del mare Mediterraneo ai campi profughi fino ai fili spinati dei confini.

Il bacio dopo il naufragio è diventata così una delle storie di vita e di morte raccontate dal fotografo calabrese, residente a Palermo da tempo e di fatto sempre in viaggio, seguendo le rotte di chi cerca la salvezza in Europa. 

Al lavoro come freelance per l’Agenzia europea della guardia di costiera e frontiera, Frontex, per l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). O ancora per agenzie giornalistiche come Ap, per quotidiani, siti internet: davanti a sé Malavolta ha l’umanità nelle sue condizioni più estreme.

 

 

«Una foto non deve essere bella, ma deve essere buona», dice ospite dell’Adl Zavidovici per la giornata mondiale del rifiugiato. Malavolta ha parlato oggi della sua esperienza nella sala Piamarta, in via San Faustino, in città, dove per l'occasione è stata allestita una mostra con trenta scatti. Il suo archivio, raccolto in vent’anni di attività, conta circa un milione di immagini, per dire.

 

 

«Le foto devono essere buone perché devono sapere raccontare - spiega -. Non mi piace la post produzione, non mi piacciono gli effetti drammatici, non mi piace l’uso eccessivo del crop, quando cioè si isolano particolari per aumentare l’impatto dello scatto». 

 

 

Gli capita di incontrare la morte e di chiedersi perché, come tutti, ma durante il suo lavoro riesce a distaccarsi «perché sento il dovere di documentare». Come nella foto in cui si vedono le gambe di un cadavere. Davanti ai piedi ci sono siringhe, medicinali, tutti materiali usati dai medici di Frontex per provare a salvarlo. Vita e morte, intrecciate: lo si vede bene nella «natività» di Pozzallo, con protagonista una donna e il suo bimbo in braccio. Sono appena scampati a un viaggio in cui sono morte soffocate 44 persone.
 



 

Malavolta è in grado anche di raccontare la gioia per chi finalmente vede i soccorritori avvicinarsi in mare, o i cortocircuiti di chi come noi sta dall’altra parte. C’è una foto in cui si vede una nave con migranti, tra i quali spicca un uomo in giacca e cravatta.

 

 

«Veniva dalla Repubblica Centraficana, parlava quattro lingue, era laureato. Scappava per motivi politici - racconta -. Quando ho scattato questa foto ho aspettato a pubblicarla perché eravamo nel 2011 e c’era un clima tale per cui sapevo il tipo di reazioni che avrebbe provocato». Ma come? I rifugiati non sono tutti straccioni? A pensarci bene, lo stesso tipo di pensiero è comune ancora oggi, quando di parla dei profughi con il telefonino. «Successivamente l’immagine è diventata un simbolo per raccontare la dignità delle persone», dice. Un’immagine buona, oltre che bella. E preziosa, come tutte le testimonianze sincere. 

 

 

 

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