Cultura

Il 18 giugno 1155 moriva Arnaldo da Brescia

Il religioso, allievo di Abelardo a Parigi e considerato eretico, fu condannato a morte per impiccagione, poi il corpo fu messo al rogo
Arnaldo da Brescia secondo il disegnatore Luca Ghidinelli - © www.giornaledibrescia.it
Arnaldo da Brescia secondo il disegnatore Luca Ghidinelli - © www.giornaledibrescia.it
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Lo spazio che accoglie le vignette «In punta di matita» firmate da Luca Ghidinelli aggiunge un tocco nostrano e si fa guida alla scoperta (o riscoperta) di figure di oggi e di ieri di figli della Leonessa ai quali in occasione di ricorrenze più o meno note il vignettista bresciano dedica una sua tavola. E attraverso essa - che si guardi alla storia o al mondo dello sport, agli spettacoli o alla politica - i lettori possono con un sorriso rinnovare ricordi e conoscenze tutti squisitamente di marca bresciana.

Il 18 giugno 1155 a Roma moriva per impiccagione e successivo rogo Arnaldo da Brescia, religioso considerato eretico per le sue battaglie contro il potere temporale del Papa e della Chiesa.

Seguace di Abelardo, fu un riformatore religioso con una forte avversione per l'istituzione tradizionale ecclesiastica. Presi i voti a 25 anni, si trasferì dalla natia Brescia a Parigi, dove ebbe come maestro Pietro Abelardo e si formò nelle letture dei Padri della Chiesa. Rientrò in città quattro anni dopo, iniziando una serrata propaganda anticlericale, scagliandosi prevalentemente contro la simonia, accusando il clero bresciano di possedere terre, di interessarsi alla politica e di praticare l'usura.

Al contempo invitava la chiesa a ritornare alle sue origini: alla povertà evangelica, all'elemosina ed alla solidarietà.

Nel 1139 le sue idee vennero considerate eretiche dal Concilio Lateranense ed Arnaldo, in risposta a questo pronunciamento, decise di ritornare in Francia dall'amico Abelardo. In terra subalpina si scontrò con San Bernardo di Chiaravalle e la chiesa francese lo condannò al perpetuo silenzio presso un monastero.

Non contento di questo, Bernardo chiese ed ottenne l'allontanamento di Arnaldo dal suolo francese ed il canonico bresciano dovette esiliare in Svizzera e poi in Boemia, dove fu accolto dal legato pontificio Guido di Castello, futuro Papa Celestino II. Recatosi a Viterbo ottenne il perdono da Papa Eugenio III, previo pellegrinaggio penitenziale fino a Roma.

Una volta ottenuto il perdono papale Arnaldo si gettò completamente in una radicale battaglia contro la Chiesa, arrivando a teorizzare addirittura la non validità dei sacramenti amministrati da un clero non degno e la confessione praticata tra fedeli e non ai sacerdoti. Queste prese di posizione radicali lo portarono alla scomunica, ma non alla persecuzione.

Una volta scomunicato lui ed un gruppo di suoi seguaci si rivolse all'Imperatore Federico Barbarossa per convincerlo a scendere su Roma e fare rinascere uno Stato Imperiale laddove vigeva il potere papale. Una volta emerso il complotto la Chiesa si scagliò contro Arnaldo che dovette fuggire da Roma.

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Fu catturato a San Quirico d'Orcia, in provincia di Siena ed il tribunale ecclesiastico si pronunciò per l'impiccagione e successivo rogo. Le ceneri del canonico vennero sparse lungo il fiume Tevere, affinché «sia impedito che ne fossero recuperati i resti mortali», come da sentenza del tribunale.

Secoli dopo la morte Arnaldo fu riscoperto dai giansenisti (cultori di un'idea per la quale l'uomo nasce corrotto e può salvarsi soltanto grazie alla Grazia Divina) nel millesettecento e fu considerato antesignano della Riforma Protestante, soprattutto per l'idea di «sacerdozio universale», cioè di negazione della distinzione tra preti e laici.

Gli fu dedicato un busto presso Villa Borghese, a Roma, mentre in città in suo onore gli è stato dedicato un Liceo Ginnasio Statale ed una piazza.

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