«Ho imparato il romanesco e ho scritto Suburra»

Ha girato per Roma con un quadernetto a portata di mano, sul quale ha segnato parole, frasi e modi di dire in romanesco. Un dialetto, una vera lingua, che ha dovuto imparare per poter lavorare. Per scrivere quei dialoghi serrati che caratterizzano la serie «Suburra».
La prima serie è in onda in «versione Rai» su Rai 2 da lunedì 25 febbraio, mentre la seconda serie è arrivata su Netflix sabato 23. Lei, Camilla Buizza, bresciana, ora il romanesco lo scrive perfettamente, ma ancora non lo parla bene e quando lo fa, la sua cadenza tradisce le origini «nordiche». La 29enne è riuscita a entrare nel gruppo di sceneggiatori della serie ispirata all’omonimo libro di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, e ha firmato il settimo episodio di questa seconda serie, «diventando autrice a tutti gli effetti».
Qual è stato il tuo percorso, Camilla? Ho iniziato presto a seguire questo sogno. I miei genitori da sempre sono appassionati di cinema e mi hanno trasmesso il loro amore. Io di mio ho sempre amato scrivere ed a 16 anni ho scoperto che fare la sceneggiatrice avrebbe unito le mie due passioni. Così, dopo l’Arnaldo, a 19 anni sono partita per Roma, anche perché allora nuotavo per un’importante società sportiva romana. Una scelta forzata anche perché il mondo del cinema italiano si muove nella capitale.
Una scelta comunque non facile a 19 anni... Sì, è stato un sacrificio costruirsi una nuova vita lontana da casa e dalla famiglia, ma è stato anche stimolante e divertente. Mi sono laureata in Lettere alla Sapienza e ho seguito alcuni corsi privati in sceneggiatura. Mi sono mantenuta facendo l’insegnante di nuoto.
La piscina ha avuto un ruolo determinante anche per la tua carriera? Nel 2012 ho vissuto la mia prima esperienza televisiva con Raoul Bova, che ho conosciuto in vasca mentre girava «Come un delfino». Ho fatto da assistente e pure la controfigura. Ma la vera svolta è stata quando ho vinto il concorso per il master in Rai, e da lì sono arrivati lavori più concreti. Ho partecipato alla stesura di alcuni episodi de «Il Paradiso delle signore» e ho conosciuto Barbara Petronio, che ha scritto «Indivisibili» e mi ha preso nel gruppo di scrittura di «Suburra 2». Sono entrata come junior, facendo un po’ di tutto per imparare al meglio il mestiere. Ho avuto la possibilità di scrivere un epsiodio con lei e sono diventata autrice. Lavorare con professionisti di grande esperienza è stato un percorso di formazione bellissimo. Cattleya, inoltre, è una casa di produzione molto seria, che effettua un controllo molto accurato su ogni singolo aspetto delle storie che decide di produrre e si avvale di moltissimi consulenti, come lo stesso Bonini. Noi traiamo spunto dalla realtà per inventare storie di finzione, che vanno comunque attualizzate con molta attenzione.
Come hai fatto a scrivere in romanesco e storie di violenza come quelle di Suburra? Ho studiato il dialetto romano come una nuova lingua. Vivo a Roma da dieci anni ormai, ma non è stato facile. Quanto al «noir», ho scoperto di avere una passione per il crime. Non avevo mai raccontato il male è l’ho trovato stimolante, perché come sceneggiatori cerchiamo di dare una tridimensionalità ai personaggi, senza però mitizzarli.
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