Barbujani: «Gli Ogm esistono dalla Preistoria»

Racconta «una rivoluzione iniziata diecimila anni fa», ma Guido Barbujani dice di averlo scritto pensando all’oggi. È «L’alba della storia» (Laterza, 208 pagine, 20 euro), il libro che Barbujani – docente di genetica all’Università di Ferrara, studioso delle origini e dell’evoluzione della popolazione umana – presenterà oggi alle 18.45 nella Nuova Libreria Rinascita, in via della Posta 7, tra piazza Vittoria e piazza Loggia.
La «rivoluzione» raccontata nel libro è iniziata nel Neolitico, quando a un grande processo migratorio partito dall’Anatolia e dal vicino Oriente, e giunto fino ai confini nord-ovest dell’Europa, si accompagnò il nostro progressivo passaggio dalla condizione di cacciatori-raccoglitori a quella di agricoltori e allevatori.
Professor Barbujani, qual è l’aggancio con l’attualità?
Ci sono due temi di cui discutiamo molto. Uno è come si possa manipolare gli animali e le piante in modo da renderli più produttivi. L’altra questione è quanto le migrazioni modifichino le popolazioni umane. Questi temi trovano in realtà la loro origine diecimila anni fa, quando abbiamo cominciato a coltivare i campi e ad addomesticare gli animali, e ne sono seguite grandi migrazioni. Io sostengo in sostanza che, se avessimo uno sguardo più ampio su questi fenomeni, essi apparirebbero meno inquietanti e più comprensibili.
In questa prospettiva, lei è per un approccio pragmatico all’utilizzo degli Ogm...
Penso che il pragmatismo sia necessario: siamo di fronte a una crisi climatica innegabile e a una crescita demografica destinata a produrre dieci miliardi di bocche da sfamare. Ci sono certamente problemi di natura economica: se una ditta immette un Ogm più efficiente, sicuro e resistente, tutti correranno a realizzarlo e questo potrebbe distruggere intere economie basate su altre produzioni. È inoltre importante difendere la biodiversità. Dal punto di vista scientifico, invece, non c’è alcun dubbio che stiamo manipolando geneticamente gli organismi da diecimila anni: gli Ogm attuali sono i discendenti del mais, del frumento, del riso che mangiamo oggi.
C’è poi la cosiddetta «sostituzione etnica». Lei scrive: «La storia del Dna insegna che la migrazione, da sola, non basta a sostituire un popolo».
Questa è una cosa su cui insisto. Durante le grandi migrazioni neolitiche, i contadini provenienti dall’Anatolia trovarono un territorio a bassissima densità umana: bastavano mille di loro per cambiare i connotati a un’intera popolazione. Oggi, per fare la stessa cosa, servirebbero milioni di migranti che vanno tutti nello stesso posto.
Le migrazioni ci sono sempre state?
Studiando il Dna antico, vediamo che la popolazione umana è stata sempre in movimento. O per esplorare nuovi territori, o per andarsene da luoghi dove non riuscivano più a vivere. Oggi osserviamo lo stesso fenomeno su scala molto grande, ma la motivazione è economica: le disuguaglianze sociali sempre più abissali.
Il Dna mostra anche che «le differenze fra gruppi della nostra specie rappresentano meno del 10% della variabilità totale della specie». Le razze sono un’invenzione?
Dagli anni Sessanta c’è sempre stato dibattito tra chi diceva che esistevano e chi lo negava. Oggi sarebbe forse meglio guardare all’utilità: a cosa ci serve ragionare in termini di razze? Alla medicina non serve a niente, perché quando ci cala la vista vogliamo gli occhiali che vanno bene proprio a noi, non alla media del gruppo a cui pensiamo di appartenere. Si va verso una medicina personalizzata; quindi non si capisce perché mantenere questi inutili concetti di razza.
Un’altra scoperta dovuta al Dna: gli europei avevano la pelle scura.
Non tutti, ne parliamo in un articolo di prossima uscita. Ci risulta che in Europa, fino a tre-quattromila anni fa, metà delle persone aveva la pelle chiara, l’altra metà la pelle scura, in certi casi in combinazione con gli occhi azzurri. In un sito archeologico svedese, Motala, che abbiamo studiato di recente, ci sono due fossili risalenti a subito prima del Neolitico: uno ha la pelle molto scura, l’altro molto chiara.
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