Cultura

Giordano Bruno Guerri: «D’Annunzio visse la sua vita come un’opera d’arte»

Giovedì 22 giugno, alle 21, l'autore presenterà il libro all’anfiteatro Romano di Cividate Camuno (via Mosè Tovini 1)
Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
AA

È una biografia esemplare, piacevole e intrigante più di un romanzo, piena di curiosità come un gazzettino pettegolo e allo stesso tempo prestigiosa e minuziosa nella ricostruzione della natura e del carattere di un uomo che ha impersonato genialità poetica, intemperanze ed eccessi, comportamenti eroici, passioni politiche e tresche sentimentali travolgenti e movimentate: è la nuova (ottava e definitiva) opera che lo storico e saggista Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale, dedica a «D’Annunzio» (Rizzoli, 298 pagine, 27 euro - il volume è corredato di numerose fotografie, alcune inedite, che lo rendono anche più prezioso), il poeta che ha vissuto «La vita come un’opera d’arte» dando lustro imperituro alla sua opera letteraria, al suo ardimento patriottico, ai suoi amori leggendari.

Annuncia l’autore: «Dopodomani presenterò il libro alla Sorbona a Parigi e subito dopo andrò in America Latina per proseguire l’opera di diffusione e ridiffusione nel mondo di D’Annunzio e delle attrazioni del turismo internazionale sul lago di Garda. Sarò poi al Salone del libro di Torino, con un incontro specifico il 21 maggio. Giovedì 22 giugno, alle 21, presenterò il libro all’anfiteatro Romano di Cividate Camuno, in via Mosè Tovini 1, per OltreConfine».

«D’Annunzio ai suoi tempi era l’Italiano più famoso nel mondo» proclama Guerri, felice anche che la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani abbia da poco ricevuto il «Premio al Merito Senatore Giovanni Spadolini» dal ministero della Cultura per la «Casa Museo meglio gestita e valorizzata d’Italia».

Gabriele D'Annunzio sulla copertina del libro edito da Rizzoli
Gabriele D'Annunzio sulla copertina del libro edito da Rizzoli

Lo scrittore - che si definisce «Vedova di D’Annunzio» come tutti i presidenti che lo hanno preceduto - afferma che Gabriele «sovrastava come fama Marconi, Toscanini e lo stesso Mussolini. Il fatto che si fosse ritirato al Vittoriale come Garibaldi a Caprera poteva far pensare che si fosse auto-escluso da tutto. In realtà, credo pensasse ancora di poter rientrare nell’agone politico, che il Re lo chiamasse, soprattutto nel 1921-’22, a salvare la situazione: ma era una ingenuità. Il Re non avrebbe mai affidato il governo del Paese all’uomo che aveva capeggiato a Fiume una ribellione di militari contro lo Stato. Quando se ne rese conto decise di dedicarsi solo alla sua ultima opera: il Vittoriale».

L’impresa di Fiume fu un errore, un azzardo impulsivo o una strategia politica sbagliata?

Non fu un errore l’occupazione di Fiume, tant’è che nel 1924 permise a Mussolini di annettere Fiume all’Italia; altrimenti non sarebbe stato possibile. Fu un errore resistere all’attacco nel «Natale di sangue». Quando l’esercito avanzò, D’Annunzio avrebbe dovuto dare subito l’ordine del cessate il fuoco e impedire così la morte di 50 uomini.

Il D’Annunzio ardimentoso del volo su Vienna e dell’impresa di Fiume fu, in seguito, un vero fascista o solo un patriota apartitico?

Fu certamente apartitico. D’Annunzio era un nazionalista e questo ha permesso erroneamente di avvicinarlo al fascismo. Lui si sentiva - ed era - un superuomo: com’è possibile che un superuomo appartenga ad un’ideologia o addirittura a un partito? Le due cose si escludono. D’Annunzio accettò gli onori del fascismo, ma quella dei soldi è una leggenda sbagliata: i soldi servivano per la edificazione del Vittoriale, non ai suoi vizi e ai suoi lussi che poteva benissimo pagarsi da solo. Sin da quando era ancora in vita il Vittoriale era già un monumento nazionale.

Lei, come presidente del Vittoriale, ha dovuto rimuovere pregiudizi che ancora resistono sia sul D’Annunzio uomo sia sullo scrittore?

Non ho fatto altro. Su D’Annunzio s’erano accumulati una valanga di pregiudizi fin dall’Ottocento, sin da quando la borghesia piccina e provinciale dell’Italia d’allora lo giudicava e lo condannava per la sua libertà sessuale e politica, per il suo rovinoso amore per gli acquisti. Questi tre atteggiamenti condannati in realtà anticipano la nostra vita, sono atteggiamenti del nostro contemporaneo. D’Annunzio non ha fatto altro che anticipare, modernizzare. Non è un caso che il suo genio inesauribile abbia influenzato e continui a... influenzare gli influencer.

Fra le tante donne della sua vita ne amò veramente qualcuna o tutte furono per lo più oggetto d’uno sfrenato desiderio di conquista?

Io credo che le abbia amate tutte, magari solo per un giorno: in realtà la sua era una passione sentimentale, con la necessità di un ricambio continuo quando perdevano il fascino e il ruolo d’amante preferita. Credo che quella che abbia amato più di tutte fu Eleonora Duse, l’unica con la quale abbia anche lavorato. Per D’Annunzio la cosa più importante al mondo era il suo lavoro di scrittore.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia