Gattopardo, Kerouac, Allende: per Feltrinelli 70 anni di bestseller

Quando Elena Croce lesse il dattiloscritto del «Gattopardo» capì subito di avere tra le mani un romanzo straordinario. Incomprensibile come sia Mondadori sia Einaudi avessero potuto rifiutarlo. L’autore, il nobile siciliano Tomasi di Lampedusa, era da poco scomparso. Non c’era altro tempo da perdere. Sollecitò Giorgio Bassani, all’epoca direttore della collana di narrativa I Contemporanei per la Giangiacomo Feltrinelli Editore, inviandogli il materiale. Bassani fu subito d’accordo. Era il febbraio 1958. A novembre «Il gattopardo» era nelle librerie. L’anno successivo vinceva il premio Strega, raggiungendo in pochi mesi la tiratura straordinaria di 250.000 copie.
Editore coraggioso
Un successo clamoroso, soprattutto per l’editore che aveva avuto il coraggio di affrontarne la pubblicazione. Erano trascorsi appena tre anni da quando Giangiacomo Feltrinelli, rampollo di un’agiata famiglia della borghesia milanese, aveva fondato l’omonima casa editrice. Il nuovo sodalizio era stato celebrato nel 1955, in un caffè di via Manzoni. Giangiacomo e un pugno di collaboratori avevano levato un brindisi ai primi titoli della casa editrice, l’autobiografia del primo ministro indiano Nehru e il «Flagello della svastica» di Lord Russel, resoconto dei crimini di guerra perpetrati dalla Germania nazista.
«Il Gattopardo» è il titolo iconico. Ma non l’unico. L’anno prima Feltrinelli aveva già dato prova di coraggio e fiuto editoriale pubblicando in prima edizione assoluta mondiale il romanzo di Boris Pasternak «Il dottor Živago», nonostante il divieto delle autorità sovietiche. Il romanzo riscuote un successo clamoroso e l’anno successivo Pasternak viene insignito del Premio Nobel per la letteratura.
Settant’anni di bestseller
Due romanzi, due bestseller: non può esserci inizio migliore. Da lì in avanti la storia della casa editrice, che quest’anno festeggia i settant’anni con una lunga serie di eventi, fu scandita da scelte altrettanto coraggiose, controcorrente, che hanno portato alla pubblicazione di autori spesso sconosciuti al pubblico, anche del terzo mondo, alternando narrativa e saggistica, titoli che hanno segnato la storia della cultura italiana e internazionale.
Non senza suscitare aspre critiche e aperta ostilità. Nel 1960 viene pubblicata l’«Arialda», opera teatrale di Giovanni Testori accusata di oscenità per le tematiche omosessuali. Nello stesso anno compare sugli scaffali «I sotterranei» di Jack Kerouac. Il libro viene sequestrato e Giangiacomo, accusato di pubblicazione oscena, deve affrontare un processo. Due anni più tardi è la volta dell’opera più discussa di Henry Miller, «Tropico del cancro», la cui diffusione, per via dei contenuti, era già stata proibita in territorio americano. Il 1968 è l’anno di Gabriel Garcia Marquez con «Cent’anni di solitudine» e del libretto rosso delle citazioni di Mao. Ma anche di un titolo impegnativo sul fronte della saggistica politica come la traduzione della «Critica della società repressiva» di Herbert Marcuse.
Visionarietà
Le scelte sono motivate dalla visionarietà di un editore che sente più di altri la responsabilità del proprio mestiere e l’esigenza di dare voce ai libri ritenuti necessari, che concorrano a promuovere la capacità critica e l’autonomia del pensiero. Nel 1983 fa conoscere al pubblico italiano la scrittrice cilena Isabel Allende con il successo de «La casa degli spiriti». L’anno dopo entra in catalogo, con Il memoriale del convento, José Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998. Ma non basta.
Giangiacomo rivoluziona anche il rapporto fisico del lettore con il mondo dei libri. Nel 1957, a due anni appena dalla nascita, la casa editrice inaugura a Pisa un nuovo modello di libreria, nel quale per la prima volta il lettore può accedere agli scaffali, scegliere da sé i libri e persino sfogliarli senza doverli per forza comprare. Quell’esperimento è destinato a resistere e diventare una consolidata tradizione.
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