Cultura

Gabriella Greison al Sociale con le scienziate cancellate dalla storia

Giulia Camilla Bassi
La fisica e divulgatrice salirà sul palco l’11 febbraio alle 9.30 in occasione dell’evento riservato alle classi scolastiche «ALATE: Donne in volo nella Scienza»
Gabriella Greison
Gabriella Greison
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La chiamano la rockstar della fisica e a ragione. Gabriella Greison, fisica, scrittrice, attrice e divulgatrice, riempie i teatri con i suoi spettacoli, capaci di affascinare il pubblico di ogni età con storie di scienza. Torna anche a Brescia, l’11 febbraio alle ore 9.30 al Teatro Sociale, in occasione dell’evento riservato alle classi scolastiche «ALATE: Donne in volo nella Scienza», che celebra la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza. L’iniziativa è promossa da Università Cattolica, Università degli Studi di Brescia con il patrocinio del Comune di Brescia.

Sul palco interpreterà il monologo tratto dal suo omonimo libro «Sei donne che hanno cambiato il mondo», sei storie di altrettante eroine: Marie Curie, Lise Meitner, Emmy Noether, Rosalind Franklin, Hedy Lamarr e Mileva Marić, pioniere della scienza, eppure troppo a lungo dimenticate. L’abbiamo intervistata.

Perché la storia ha cancellato il ricordo di queste grandi donne?

Sono donne che hanno segnato un percorso per terra, una traccia indelebile. La storia ha cancellato tante figure femminili. Cleopatra, per esempio, è ricordata solo come una grande seduttrice. C’è stato un sopruso che ha eliminato i nomi di tante donne che non dovevano realizzarsi in ambito scientifico. La fisica doveva essere uno svago unicamente maschile, in particolare la fisica nucleare, che è proprio quella di cui mi occupo. Quando mi sono laureata – e già dalla mia esperienza ho vissuto un ambiente con pochissime ragazze – mi sono posta di problema di raccontare le eroine della scienza, che nei vecchi manuali di fisica c’erano sì, ma venivano raccontate male.

Quali sono stati questi soprusi?

Sono stati portati avanti con piccoli gesti. Marie Curie, per esempio, doveva auto finanziare il suo lavoro, Rosalind Franklin poteva accedere al laboratorio solo dalla porta sul retro, Emmy Noether poteva fare lezione solo a nome del matematico Hilbert e non poteva avere una cattedra perché gli uomini si opponevano con la scusa che non ci fossero bagni femminili. A Lise Meitner non era consentito firmare gli articoli sulla fisica quantistica, ma poteva soltanto siglarli. Fortunatamente questo pregiudizio oggi è stato abbattuto. Oggi l’Europa non eroga finanziamenti agli istituti di ricerca se questi non mettono delle donne nei ruoli di comando. Ci sono però dei luoghi che son ancora molto maschilisti come l’Accademia Reale delle Scienze di Stoccolma, che attribuisce i premi Nobel: 224 attribuiti agli uomini e solo 4 a donne.

A quale tra queste storie ti sei affezionata di più?

A Mileva Marić, la prima moglie di Einstein, una donna molto moderna. Per lei ho fatto domanda (ancora in attesa di risposta) di attribuzione di laurea postuma al Politecnico di Zurigo. Non le è mai stata assegnata la laurea perché doveva stare a casa a badare ai figli, era già Einstein lo scienziato di casa. Nel frattempo però, in Scozia sono state attribuite quattro lauree postume ad altrettante scienziate dell’Università di Edimburgo che non ottennero il titolo per sessismo e maschilismo.

Cosa significa fare divulgazione?

Per me è fondamentale, ho pubblicato dodici libri e a marzo uscirà il tredicesimo. Le vite delle persone cambiano quando si ha un fine da raggiungere. Faccio 150 spettacoli teatrali l’anno che richiamano tanti giovani. Per me è fondamentale che vedano sul palco una donna realizzata in ambiente scientifico, che racconta storie anche molto complicate nell’ambito della fisica quantistica. Lo faccio anche nel mio libro “Ogni cosa è collegata” che piace tantissimo ai ragazzi.

Progetti futuri?

Il mio sogno è avere in gestione un teatro per poter creare una piccola roccaforte scientifica. Non soltanto presentando i miei spettacoli, ma anche quelli che vado a vedere e sono tanti.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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