Cultura

Festa della Radio, fulminanti Beartooth

Muscolare, compatto, breve: così, in tre parole, il set degli americani che si sono esibiti ieri sera
  • Gli americani Beartooth alla Festa della Radio
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AA

Muscolare, compatto, breve: così, in tre parole, il set degli americani Beartooth, ieri sera ala Festa della Radio. Il gruppo si fa attendere a lungo (è salito sul palco principale che erano passate le 22.30) e, quando finalmente entra in scena, picchia forte, picchia duro, e fa il suo secondo consolidati stilemi metallici (nulla di irresistibile, ma con buona qualità esecutiva, ad ogni modo), condendo ogni espressione rivolta alla platea con fiumi di "fuck". 

Non ci sono le folle degli ultimi giorni, ma gli spettatori si attestano comunque intorno al migliaio e aumentano ulteriormente dopo che il frontman e polistrumentista Caleb Shomo - protagonista assoluto di un progetto discografico solista che integra altri musicisti nelle avventure live - sfoggiava un vasto campionario di growl a supporto di un velocissimo hardcore punk: all’ombra del Gatto Nero l’heavy metal conserva dunque uno zoccolo duro, sebbene rimangano distanti i numeri associati a rap, hip hop e indie-rock, ovvero i generi andati in scena nelle prime (straripanti) serate della kermesse antagonista.

A torso nudo, asciutto e atletico, Shomo percorre il palco saltando come un grillo mentre sciorina con voce nasale e urlante una litania di canzoni dal titolo essenziale ("Davastation", "Disease", "Sunshine", "Riptide"), da cui ogni tanto fanno capolino frammenti di melodia. Le hit della casa - "In Beetween", "Might Love Myself" e "Hated" - si palesano nella seconda parte dello spettacolo, ossessivamente ritmata ma meno hard, decisamente più varia ed forse ancor più apprezzata dalla platea.

 

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