Cultura

Esther Elisha: «La società è frutto della nostra immaginazione»

Quattro ciclisti producono l’energia per l’allestimento con l’attrice bresciana a Milano per il Piccolo
Attrice bresciana, Esther Elisha in una foto postata sul suo Instagram
Attrice bresciana, Esther Elisha in una foto postata sul suo Instagram
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La sostenibilità arriva anche a teatro. Nessuna tournée. I costumi e gli elementi scenici si riciclano. Soprattutto, la compagnia non si sposta, lo spettacolo non circola, sono i teatri, ciascuno con i propri artisti e le proprie maestranze, a ricrearlo, a reinterpretarlo, nel rispetto del concept originale. L’idea è della regista britannica Katie Mitchell e del coreografo francese Jérôme Bel insieme a Théâtre de Vidy di Losanna.

La pièce, tratta dal testo dell’americana Miranda Rose Hall, primo capitolo del progetto «Sustainable theatre?», si intitola «Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione», e il concept italiano è stato curato da lacasadargilla con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli. Lo porta in scena questa sera, alle 19.30, al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano (repliche fino al 27 marzo), l’attrice bresciana con origini africane Esther Elisha. E insieme con lei, quattro ciclisti amatoriali del collettivo Pedal Power, che pedalano, pedalano. Alla fine dello spettacolo avranno prodotto 240 watt, l’energia necessaria per sostenere questa messa in scena (uno spettacolo consuma in media dai 30.000 ai 150.000 watt).

Riflessioni

Elisha interpreta Noemi, «una donna che ha paura della morte, drammaturga, sui 40 anni», e che riflette sulle estinzioni, sull’eredità che lasciamo al nostro pianeta. «Era tempo che il tema della sostenibilità arrivasse anche a teatro - racconta Elisha -. Perché questo fa il teatro: si interroga sulla realtà; attraverso le storie, cerca di restituirci uno sguardo su noi stessi. Interpreto una donna attenta alle tematiche ambientali, che si rende conto, però, di non essersi mai interrogata realmente sull’estinzione e su cosa significhi vivere in questa epoca. Lo spettacolo riflette su questo, e lancia un messaggio di speranza, la volontà di connettersi con le generazioni passate e future. Tutta la vita sulla Terra è collegata; quando ne saremo consapevoli, potremo guardare le cose da un altro punto di vista». Il testo chiama in causa anche la supremazia bianca, gli effetti del capitalismo.

Un passaggio recita: «Come se la brutalità fosse inevitabile». «Ma la brutalità non è inevitabile, è una scelta - sottolinea Elisha -. E le scelte sono umane, e ciò che è umano può essere cambiato. Dovremmo iniziare a ragionare in termini di specie, ma siamo ancora lontani: vediamo quello che ci divide e non quello che ci unisce. La Terra non è il nostro pianeta, lo abitiamo insieme ad altri».

Poi cita l’attivista di Black Lives Matter, Janaya Future Khan: «La società è frutto della nostra immaginazione; l’abbiamo pensata così, per questa ragione esiste in questi termini. Ma se immaginiamo qualcos’altro, possiamo vivere diversamente. Così come abbiamo inventato la supremazia bianca, allo stesso modo possiamo inventare come vivere tutti insieme».

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