Dopo Alan Turing e Steve Jobs, c'è ancora chi sussurra ai computer
Venerdì 27 ottobre alle 18 nell’ex Sala Cavallerizza in via Cairoli 9 a Brescia viene inaugurata una mostra sul retrocomputing: «Computer Stories» è un compendio fisico, cronologico e fenomenologico di cultura tecnologica che presenta al pubblico la storia dei computer da Alan Turing a Steve Jobs. Lo scopo è raccontare la nascita e l’evoluzione di questo oggetto pervasivo, la cui storia è recente e che si tende a pensare - erroneamente - slegato dalla storia politica e sociale.
Chi ha vissuto le epoche percepirà nostalgia, i Gen Z vedranno concretamente da dove arrivano quei piccoli device che si trovano in tasca e di cui non sembrano poter fare a meno. Eccetto quelli passati ai dumb-phone a conchiglia: preferiscono cellulari senza internet per provare l’ebbrezza del mondo disconnesso e per coccolare la loro salute mentale e la loro concentrazione, spesso messe a dura prova dall’iper-connessione.
Dal calcolatore militare ai giganti degli anni '70
Settant’anni, quaranta modelli e nove aree tematiche: la storia dei computer comincia negli anni Quaranta, durante la seconda guerra mondiale, e da lì prende avvio anche il percorso espositivo, con l’evocazione dell’invenzione del primo calcolatore da parte di Alan Turing. Fu una necessità militare - serviva per decifrare il codice nazista - ma sono bastati pochi decenni perché il passaggio dall’utilizzo prettamente scientifico dei protocalcolatori a quello personale dei computer portatili si concretizzasse.
I primi computer veri e propri sono degli anni Cinquanta. Nacquero nelle università americane e in mostra a Brescia ci sono esempi della tecnologia dell’epoca. I colossi non potevano essere esposti: arrivano anche a 25 metri lineari e le dimensioni lo impediscono. Ma la repentina evoluzione è ben visibile anche in questo: l’esposizione subito dopo presenta i primi macchinari degli anni Settanta e Ottanta, quelli identificati effettivamente come «computer», il cui merito è aver reso l’informatica più popolare, portando la gente ad acquistali per piacere personale o come supporto professionale.
Non manca il Commodore64
Anche se il «computer di casa» è il Commodore64, e anche se il primo Mac domestico è del 1984, la mostra dà ampio spazio anche all’Olivetti programma 101 del 1965. Secondo gli organizzatori racconta un pezzo di Italia e ha fatto la storia del paese. Il parallelismo con l’azienda Apple dei nostri giorni è inevitabile, a partire dall’architettura degli uffici.
Parlando di computer domestici e personali, interessante è la storia della portabilità. Per capire l’importanza è utile considerare i pesi dei computer portatili: se l’Osborne 1 pesava 10,7 chilogrammi, l’IBM portatile più di 15. Oggi si parla di qualche decina di grammi.
Errori storici
Molto curiosi sono anche gli errori storici, in particolare della Apple. Pochi ricordano che a un certo punto l’azienda arrivò quasi sul lastrico proprio a causa di alcune valutazioni sbagliate. Il PowerCD, Newton (l’antenato dell’iPad, antico assistente personale con diverse funzioni oggi normali, ma allora troppo in anticipo sui tempi), la consolle per gaming arrivata troppo tardi (PipPin), il set top box per la tv (una AppleTV ante litteram)… E, su tutti, il computer con il design sbagliato: il tasto d’accensione (con tecnologia touch) si trovava in cima al cubo, in trasparenza; la gente appoggiava sbadatamente la mano e lo spegneva. Bellissimo esteticamente, ma indubbiamente inadeguato.

Non si creda però che le mode, l'estetica e gli stili siano frivoli e inutili. Anch’essi creano il mercato e il mercato è essenziale per entrare nella storia. Se negli anni Ottanta si credeva che ad avere inventato il computer fosse stata la IBM e negli anni Novanta la gente rispondeva «Bill Gates», oggi i più ritengono che il merito vada attribuito a Steve Jobs. «Non è così, ma sono curiosità che rispecchiano la società», dice Carlo Santagostino, segretario di RetroCampus e tra i curatori della mostra.
Design e informatica
In tutto questo il design è fondamentale: per Apple fu proprio il nuovo stile dell’iMac I3 (quello trasparente e colorato) insieme all’iBook a forma di conchiglia (entrambi del 1999) a decretare la rinascita aziendale. Ma non era solo design: c’era tanta sostanza. Anche perché il design di Apple - sostengono gli organizzatori - è figlio dell’estetica Braun. Ecco perché ci sono in mostra diversi oggetti puliti, funzionali e semplici. Ma anche Sony ebbe un ruolo cruciale, con i suoi circuiti elettronici nascosti magnificamente all’interno dell’oggetto. Gli iPod, insomma, sono direttamente confrontabili ai Walkman. E in mostra ci sono entrambi.
La storia dei videogiochi
La storia dei computer non può però prescindere da quella dei videogiochi. Il Pong Atari nacque nel 1972, e anche se esistono alcuni esperimenti universitari precedenti, quello fu il primo conosciuto in tutto il mondo. Il salto pop avvenne però con PacMan: nel 1980 la pallina minacciata dai fantasmi rese i videogiochi ancora più celebri, entrando nei cartoni animati e finendo su tazze e gadget. Ci sono poi una ricostruzione in miniatura del Commodore 64, altri Commodore (con Intenational Soccer, popolarissimo in Italia) e, a rappresentare l’era moderna, un Super Nintendo (nella versione americana) e la PlayStation.
Non manca infine la Sacra Trinità dei personal computer domestici: Commodore, Apple II e Radio Shack TRS 80 (sconosciuto in Italia ma popolarissimo in America). Il pezzo forte è tuttavia un IMSAI originale del 1975, riconoscibile perché protagonista del film «Wargames», cult per gli appassionati di elettrotecnica e di coding, che ritengono del tutto verosimili le azioni hacker messe in campo dal giovane protagonista con il suo computer casalingo. RetroCampus l'ha recuperato e riprogrammato: l’associazione nasce per la divulgazione e la conservazione dei materiali storici, non solo fisici. Anche la conoscenza tecnica e l’uso vanno secondo loro salvaguardati. Dell’Imsai, per esempio, si è occupato Andrea Matteucci, vicepresidente. Insieme alla sua squadra (che di base si trova a Brescia e che è aperta a tutti, anche a chi non ha alcuna base tecnica) ha ricostruito il software che si vede nel film, ricreandolo, inserendolo e facendolo girare in tempo reale durante la mostra. Non è una simulazione, quindi.
L'arte di restaurare computer storici

Restaurare e fare funzionare questi programmi non è semplice. «In questo caso, per esempio, ci siamo ritrovati con persone che l’avevano utilizzato all’epoca della diffusione e con persone più giovani che non ne avevano mai visto uno: è nato uno studio approfondito tra generazioni, leggendo anche vecchi manuali», racconta Matteucci. «Negli anni, coltivando la cultura del retro computing e condividendo informazioni, conoscenze e schede tecniche, abbiamo costruito un know how che appartiene al gruppo. È questa conoscenza che permette di rimettere in moto gli strumenti».
Elettrotecnici professionisti, informatici, amanti del genere… Per riprogrammare un computer bisogna essere in tanti. «Scopo della mostra - che non è un raduno di appassionati che espongono gli esemplari più belli - è anche dare ai ragazzi l’opportunità di ripercorrere il passato per delineare il futuro. Ciò che stiamo facendo negli ultimi decenni è solo un miglioramento di ciò che è stato creato cinquant’anni fa. I visionari di oggi devono conoscere anche questa storia, scoprendo passione e design di chi li ha preceduti. La rivoluzione parte dalla conoscenza del passato. Vogliamo mostrare cosa vuol dire mettersi per cinquanta ore a programmare una pallina che rimbalza per arrivare davvero a un videogioco. Per un ragazzo di oggi mettere le mani in questi computer sarebbe impossibile senza una macchina del tempo. Noi siamo la macchina del tempo».
La mostra
Promossa dal Musil insieme con l’associazione Crespi d’Adda, MMN.it Magnetic Media Network e con il sostegno dell’Associazione Retrocampus e di Isinnova, la mostra è già passata dalla provincia di Bergamo, presentata nell’ambito del festival Produzioni ininterrotte e inserita nel palinsesto degli eventi della Capitale della Cultura 2023. A Brescia starà fino al 12 novembre, visitabile gratuitamente il sabato e la domenica dalle 14 alle 19 e durante la settimana su appuntamento per gruppi, scuole e aziende (fondazione@musil.bs.it).
Ci saranno anche incontri e laboratori a ingresso libero, sempre alle 20.30: quello sul restauro dei computer storici (31 ottobre), una lezione di archeologia informatica e videoludica (il 2 novembre), un incontro sulla macchina di «Wargames» (7 novembre) e la storia bresciana informatica (9 novembre).
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