Cultura

Dondi: «Madri o senza figli, esistono tanti modi di essere donna»

La giornalista bresciana parla del saggio «Libere di scegliere se e come avere figli» da oggi in libreria per Einaudi
Ilaria Maria Dondi, giornalista e autrice - Foto © www.giornaledibrescia.it
Ilaria Maria Dondi, giornalista e autrice - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Poco importa chiamarsi Kamala Harris o Samantha Cristoforetti. C’è una domanda che non lascia al riparo nessuna donna e a un certo punto arriva immancabilmente: hai figli? Se non li hai, perché non li hai? E ancora: se li hai - ma non viene quasi mai chiesto ad alta voce, lo si lascia filtrare da sguardi e commenti -, che madre sei? Conforme, iper performante o sbagliata, innaturale, magari perfino mostruosa?

Nel terzo millennio le scelte riproduttive delle donne sono ancora inquisite da chi ritiene che l’identità femminile coincida con la maternità o la sua possibilità. «Libere», saggio della giornalista bresciana Ilaria Maria Dondi in libreria da oggi per Einaudi con sottotitolo «Di scegliere se e come avere figli», è il libro che arriva per decostruire i cliché e tendere una mano - perché «tacere e lavarci i panni sporchi in casa, come ci hanno insegnato, non salva nessuna». 

In «Libere» Dondi, voce femminista di riferimento in Italia che da anni scrive di questioni di genere sui social e sulla testata di cui è direttrice, «Roba da Donne», traccia inventari delle donne senza figli, per impossibilità o per scelta, e delle madri, che non sono tutte uguali, sradicando gli stereotipi che abitano anche dentro di noi. È un viaggio calato nella realtà delle molteplici possibilità di essere donna, arricchito dall’esperienza personale dell’autrice che non teme di sottolineare i suoi limiti e si propone di restituire alle donne i loro desideri, dando a ciascuno cittadinanza. 

Dondi, da anni si occupa di questi temi su «Roba da donne», la testata di cui è direttrice, e sui social. Come nasce il libro?

È un lavoro iniziato quando è nato mio figlio. Era il 2016, avevo 35 anni e mi sono sentita apolide. Ero diventata madre dopo una buona parte della mia vita passata a sentire lo stigma in quanto «childfree», senza figli per scelta. Avevo bisogno di capire, anche se in quel momento ero sullo scaffale «giusto», quello delle mamme. Così ho cominciato a studiare saggi demografici, antropologici, filosofici e a parlare con tantissime persone, di persona e poi raccogliendo testimonianze nelle community fra Telegram e Whatsapp. Una ricerca passata molto per «Roba da donne» e sfociata poi nel libro e un anno fa nella mia newsletter «Rompere le uova». 

Cosa ha scoperto?

Che c’è un padre di tutti gli inganni, cioè un sistema di narrazioni, doveri attribuiti alle donne, aspettative introiettate e perfino leggi che ha fatto della riproduzione femminile il superpotere maschile. E che invece esistono variabili infinite nel modo in cui viviamo la maternità e la non maternità, e una miriade di voci ed esperienze che non trovano rappresentazioni.  

Nominarle garantisce loro l’esistenza?

Per le non madri non esiste ancora un termine che non sia medico o una negazione, appunto, della maternità stessa. Pensiamo anche solo alla maternità simbolica, quella che ci fa dire «mamma di un libro», «mamma della scoperta», una logica che non mi piace come non piaceva a Margherita Hack, perché radica l’idea che se non hai fatto figli devi avere fatto qualcosa di altrettanto valido. Non dobbiamo necessariamente essere madri di qualcosa per lasciare un’eredità. Anzi, Hack diceva: «L’eredità si può lasciare anche agli allievi e io ne ho avuti tanti. Una certa eredità l’ho lasciata, e poi, a dir la verità, a me non me ne frega nulla di lasciare l’eredità!». Dobbiamo trovare il modo di immaginarci al di fuori della maternità e di appropriarci con orgoglio dei nomi che vorrebbero indicare le nostre storture, perché il nome dà intanto il diritto a esistere. 

Le donne senza figli fanno paura?

Sì, perché si ribellano alle imposizioni e alle aspettative di chi ci vuole figlie, spose e poi madri. Se una non può avere figli è una «poverina», se invece sceglie di non averli sfugge al controllo. Storicamente le donne senza figli sono sempre state perseguitate, e anche le leggi italiane proteggono solo la famiglia tradizionale come nucleo essenziale della società. Ma questa oppressione è ciò che le ha portate ad avere ben chiaro oggi perché non fanno figli se non li vogliono. 

A volte sembra si creino schieramenti fra le madri e le non madri.

È così, ma è una rabbia, seppure comprensibile come nel caso di una donna sterile nei confronti di una donna che abortisce, che serve solo a dividere. Fare figli è una delle tante cose che si possono fare nella vita e ci sono tanti modi di essere madre, su cui gravano pregiudizi: si pensi alle madri single, alle primipare attempate, alle madri che si pentono di esserlo. Importante è diventare consapevoli delle nostre scelte e volersi anche un po’ bene. Non ci sono squadre opposte, come vorrebbe una logica di potere.   

Nel libro racconta che il suo femminismo è stato messo in dubbio dal fatto che fosse madre in una coppia eterosessuale.

Una volta parlandomi una femminista si era convinta che fossi lesbica perché avevo un figlio. Non le era neanche passato per la testa che potessi essere sposata con un uomo. Mi sono sentita in imbarazzo, per anni mi sono affannata a giustificare il mio matrimonio raccontando che sì, ero sposata ma in comune, che non avevo l’abito bianco, che nostro figlio era già nato - come se dovessi continuare a sottrarmi alla tradizione. La verità però è che per il femminismo della seconda ondata la maternità ha rappresentato a lungo il nemico, una reazione forte generata da un’oppressione pesante. Oggi la rabbia ci serve per renderci conto che le nostre esperienze vanno ricucite insieme. 

Cosa pensa del dibattito pubblico sulla maternità?

A sentire dichiarazioni come quelle della senatrice Mennuni mi viene da ridere. La destra usa il populismo per polarizzare il discorso in modo furbesco, ripetendo cose che sconfessano le sue stesse credenze: se metti «Dio» nei tuoi slogan, come mai disattendi uno dei principi della Bibbia e lasci morire la gente in mare?  È chiaro che il discorso è molto più complesso della mamma «cool» a 18 anni. Che poi, vorrei vederla Mennuni con una figlia ragazza madre.

Come si torna alla complessità? 

Ho fiducia nel decorso storico e spero che le nuove generazioni, quelle che riempiono le piazze per l’ambiente e per il femminicidio di Giulia Cecchettin, sappiano aprire uno spazio di dibattito diverso.

Nei ringraziamenti cita Michela Murgia. Chi è stata per lei?

Un’intellettuale e una pensatrice, prima che una scrittrice. Ne ho amato la lucidità e la capacità di diventare tante donne diverse. Ha inciso nel dibattito su avere o no i figli ripetendo che ogni identità è legittima. È un po’ il senso della dedica di «Libere»: raccogliamo l’eredità che abbiamo ricevuto e lanciamo il nostro pensiero in avanti, augurandoci che si alzino altre voci in un «tana libera tutti e tutte».

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