De Gregori, smisurata bellezza dentro un concerto strepitoso
Amore e disincanto, realtà e sogno, poesia e sentimento. E smisurata bellezza dentro un concerto strepitoso: il rinnovato incontro tra la dimora dannunziana e il più raffinato dei nostri cantautori, in scena ieri al Vittoriale (a tre anni di distanza dalla prima volta), ha sprigionato ancora le scintille di una perfetta alchimia. Il «principe della canzone italiana» Francesco De Gregori entusiasma, e non ha nemmeno bisogno di ripetersi nella scaletta, perché qualunque cosa peschi nel cilindro del suo repertorio risplende di luce propria. Te ne accorgi a maggior ragione dopo un anno e mezzo di astinenza, che ti porta a separare con maggior decisione il grano dal loglio.
D’altronde, è da un bel po’ che De Gregori non smette l’abito della festa: finito il tempo delle sperimentazioni, se non forse negli arrangiamenti (sempre più curati ogni anno che passa), è tutto oro ciò che luccica. Comincia da solo, con voce, chitarra e immancabile berretto: mette in fila «Cose» (da «Mira Mare 19.4.89»), «L’uccisione di Babbo Natale» (da «Bufalo Bill», anno di grazia 1976), «A pa’» (da «Scacchi e tarocchi», 1985). La voce accarezza il cuore, suscita languore con la sua sensualità mai aggressiva, si fa filastrocca quando non addirittura nenia: ci culla con avvolgente intimità e ci ricorda che la musica è magia, una modalità terrena per avvicinare il cielo. Quindi arriva la band, e il sound vira in rock chitarristico che non dimentica la melodia nemmeno quando sferraglia gioiosamente, con il cantautore che abbandona la seicorde e si cimenta solo nel canto, in un crescendo di senso e intensità: «Scacchi e tarocchi», «La testa nel secchio», «La storia», «Titanic», «Il cuoco di Salò», la misconosciuta potenza di «Nero» (diamante grezzo da «Terra di nessuno»), «Pablo», «Sangue su sangue», «Pezzi di vetro». La cinquina che segue è emozione allo stato puro: «Generale», «Rimmel», «La leva calcistica della classe ‘68» (impreziosita dall’armonica), «Buonanotte fiorellino», «La donna cannone». Non te ne accorgi ed è già il tempo dei saluti, sulle note pacifiste di «Cercando un altro Egitto» e «Il vestito del violinista», quindi il gran finale tutto affetto con «Viva l’Italia».
Spettatori in estasi, compreso il vostro cronista, grati gli uni e l’altro per il molto che hanno ascoltato, senza lagnarsi per tutte le gemme (almeno altrettante) che non hanno trovato posto. Si replica il 31 agosto: è già sold out, ma se non vi disturba la lista d’attesa provateci, perché ne vale la pena.
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