Cultura

Damon Albarn, cresce la febbre bresciana

Il cantautore inglese, già leader dei Blur, suona al Vittoriale di Gardone Riviera il 14 luglio
Damon Albarn, Everyday Robots
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«Parklife», «Tender», «Girls & Boys» e un’attitudine art-punk smargiassa e contagiosa. L’ultima volta che è salito su un palco italiano era la scorsa estate, e con lui c’erano i Blur. La band, una delle migliori del pianeta, e che ventuno anni fa s’inventò il brit pop, aveva tradotto la doppia reunion di Hyde Park - nel 2009 e nel 2012 per le Olimpiadi di Londra - in un tour mondiale che aveva toccato Milano e Roma.

Ora Damon Albarn fa per sé. «Everyday Robots», il suo primo vero album solista, è stato pubblicato lo scorso aprile. E per il 46enne musicista inglese è iniziata una nuova vita artistica. Più nelle premesse che nel suono, visto che il disco pesca da alcune delle esperienze extra-Blur fatte nel corso della sua carriera, dal side project The Good The Bad And The Queen fino all’Africa-connection di «Mali Music». La metà più riflessiva, lirica e onirica della sua arte. La Brescia di chi ama la musica può gonfiare il petto, visto che l’esordio live italiano di Albarn solista è in programma lunedì 14 luglio al Vittoriale di Gardone Riviera, per il Festival «Tener-a-mente». Solo il giorno successivo Damon raggiungerà Roma per un secondo concerto.

Lo show in riva al Benaco inizierà alle 21.15. La situazione biglietti? Vi dà l’idea di quanto sia atteso Albarn. Praticamente tutto esaurito. Sul sito www.anfiteatrodelvittoriale.it ci si può comunque ancora inserire nella lista d’attesa per i posti in piedi (25 euro). L’unico trait d’union tra il magnifico «prima» bluriano e un «dopo» tutto da scoprire (ma si parte bene, perché «Everyday Robots» è un ottimo lp) è lo sguardo stralunato e obliquo sulla vita di tutti i giorni. Persone, auto, città, abitudini e nevrosi dell’uomo comune fanno parte, ora come allora, del retroterra culturale della creatività di Albarn. Il quale, nel brano «Hollow Ponds», rievoca la frase «Modern Life Is Rubbish» (la vita moderna è spazzatura). Frase che dava il titolo al disco dei Blur del 1993 che ha generato il brit pop. Più - a nostro avviso - di qualsiasi lavoro di Oasis, Suede e Pulp.

Per l’artista che ha venduto oltre 30 milioni di dischi in carriera, in sostanza, «la vita moderna fa ancora schifo», come ha... fatto intendere nella conferenza stampa con cui ha presentato il nuovo disco. Alla fine del secolo scorso compravi roba al centro commerciale e mangiavi fino a scoppiare, per poi trovare l’amore sintonizzandoti sul canale 44 («Magic America», 1994). Ti immaginavi un futuro in cui nessuno sarebbe stato solo, satelliti in ogni casa a far da compagni («The Universal», 1996). E, ancora, l’amore era paranoico («Girls & Boys», 1994) in un mondo chimico dove s’ingurgitava cioccolato per auto-indursi sonnolenza («Chemical World», 1993). «Ora - ha fatto notare Albarn - la gente se ne sta col naso incollato al cellulare e ai social network a guardare stupidaggini, e si perde tutto il resto».

Mentre la politica, sempre secondo il musicista inglese, fluttua ogni giorno che passa più distante dall’uomo comune, dall’uomo della strada («e In Inghilterra a votare Farage sono proprio le categorie che lo Ukip osteggia»). Così, nella metafisica di «Everyday Robots», le nevrosi dei Tracy Jacks, dei Colin Zeal e di quel Charmless Man (soggetti-tipo tratteggiati nei Novanta con i Blur) si reincarnano nell’alienazione dell’era digitale. Diventano tutti «Everyday Robots». Visti da solista. «Lavorare così - ha fatto notare il musicista - è stato liberatorio. Non ho dovuto rendere conto a nessuno delle scelte che facevo». Anche se la figura del produttore Richard Russell ha avuto un ruolo fondamentale. Ma non si escludono ritorni al passato. «Di sicuro farò un altro disco con i Gorillaz», progetto tra musica (di Albarn) e fumetti (di Jamie Hewlett). E con i Blur? «Forse, ma ci vorrà del tempo». Sarebbe davvero troppo bello...

Daniele Ardenghi

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