«Dal Medioevo alle fake news: il mondo si nutre di falsi storici»

Nell’era delle fake news e della post-verità, al «falso» possiamo dire di essere ormai avvezzi. Eppure il problema della falsificazione, specie in ambito storico, letterario e artistico, affonda radici in tempi lontani e, in primo piano, è sempre la consapevolezza dell’esile linea di confine che può separare il falso dal vero. Chi non ricorda, per citare un esempio celebre, il «De falso credita et ementita Constantini donatione» con cui l’umanista Lorenzo Valla confutava nel ‘400 l’attribuzione del patrimonio temporale allo Stato della Chiesa? Il bresciano Andrea Comboni, professore associato di Filologia italiana all’Università degli Studi di Trento, affronta assieme al collega Sandro La Barbera il tema nel volume «Le vie del falso. Storia, letteratura, arte» (Il Mulino, pp. 415, euro 36), che raccoglie una serie di contributi di vari studiosi sull’universo della falsificazione, materiale o ideologica, ripercorrendo alcuni tra i casi più clamorosi.
Ne abbiamo parlato con Comboni, che ha al suo attivo, tra l’altro, la curatela con Tiziano Zanato dell’«Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento» (2017) ed ha ideato con Camilla Russo l’Archivio dei Falsi Letterari Italiani (falsiletterari.lett.unitn.it).
Professor Comboni, com’è nato il progetto di questo volume?
Da almeno tre decenni l’universo della falsificazione, nelle sue varie e complesse articolazioni e tipologie, è divenuto oggetto di numerose ricerche, riguardanti un ampio ventaglio di discipline, dalla storia dell’arte a quella della letteratura e della musica, dalla storia politica a quella religiosa, dalla paleontologia all’archeologia e all’epigrafia. La data d’inizio di tale fortuna risale al 1990, anno in cui fu pubblicato il saggio di Anthony Grafton, «Forgers and Critics» e fu allestita al British Museum di Londra la grande mostra «Fake? The art of Deception». È interessante osservare come questa ricca produzione di studi sia risultata contemporanea al progressivo diffondersi, a livello della comunicazione digitale, delle fake news e delle cosiddette “post-verità”. All’Università di Trento abbiamo istituito un gruppo di lavoro sull’argomento, che ha dato luogo ad un Convegno internazionale, tenutosi nel maggio 2022, col patrocinio del Centro di Alti Studi Umanistici, di cui questo volume raccoglie gli atti.
Potrebbe citarci qualche esempio eclatante o curioso di falsificazione storica?
Tra i più interessanti, menzionerei due contributi che trattano di testi attribuiti falsamente a donne scrittrici. «False voci di donne, antiche e nuove» di Federico Condello, noto filologo dell’Università di Bologna, esperto di falsificazioni, che ha dimostrato la falsità del Diario postumo di Montale (al centro di una grande bagarre filologica), fa un lungo excursus dall’antichità fino al caso di Elena Ferrante. Da notare che, nella letteratura italiana del secondo ‘500, vengono inventate di sana pianta delle poetesse che sarebbero vissute al tempo di Petrarca, come “le petrarchiste marchigiane del ‘300”. Poiché a quell’epoca era diventata molto diffusa la poesia al femminile scritta da donne come Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e la bresciana Veronica Gambara, un erudito di Fabriano pensò, per accrescere prestigio alla propria cittadina, di immaginare delle poetesse che lì avevano avuto i natali, una delle quali sarebbe stata addirittura in corrispondenza col Petrarca, che le avrebbe risposto con uno dei suoi sonetti del Canzoniere. Il problema è che questi nomi saltano fuori più di due secoli dopo. Un altro caso è illustrato nell’articolo di Camilla Russo e riguarda la ferrarese poetessa Barbara Torelli cui viene attribuito «il più bel sonetto mai scritto«, quando lo era invece di mano maschile, autore Girolamo Baruffaldi.
Quali strumenti ha a disposizione il filologo per smascherare questi falsi?
Sicuramente, tra le modalità principali, l’individuazione di anacronismi di ordine storico o linguistico-lessicale, una delle risorse fondamentali per stabilire che il testo non è di quell’autore o di quella epoca. Un altro elemento cui ci si può trovare di fronte, in presenza di testi verbali, è la dichiarazione da parte di chi li pubblica di averli «trovati in un manoscritto», di cui però non specifica mai la fonte né la collocazione: un topos comune di molti falsari di ogni epoca. Dopodiché ci sono falsi che a lungo sono stati ritenuti autentici: dipende dall’abilità del falsario e dalla sua capacità, come accade con dipinti ed opere d’arte. Come Gianni Mazzoni, famoso falsario senese, che con grande bravura rifornì di bellissimi dipinti «del ‘400 toscano» importanti musei americani.
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