Cultura

Dai Prada ai Moratti fino ai Ferragnez: le «Dinastie» italiane dove la ricchezza batte il blasone

Nel suo nuovo libro Michele Masneri passa in rassegna le figure più importanti, danarose e digitali, dell’Italia di oggi
Michele Masneri, giornalista e scrittore
Michele Masneri, giornalista e scrittore
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L’analisi è bruciante: «Nel Paese che affonda, o al massimo galleggia, mentre i grandi gruppi industriali vengono soprattutto comprati dal perfido Estero, e in particolare dai Cattivi francesi, le grandi dinastie industriali si fingono morte o non italiane. I Crespi son spariti, gli Agnelli hanno cambiato cognome, i De Benedetti litigano soprattutto tra loro, i Berlusconi si moltiplicano mentre il business si assottiglia. E l’ascensore sociale? Fermo? Mai partito?».

Michele Masneri, scrittore e giornalista bresciano quarantottenne, ha riunito in un libro una serie di inchieste giornalistiche sulle figure più importanti (danarose e magari digitali) dell’Italia del momento passando dai Prada ai Moratti, dai Ferragnez ai Trussardi, dai Calenda ai Ludovisi, dai Beretta al re delle pentole a Paolo Agnelli, cognome celebre che tuttavia non ha niente a vedere con quello delle quattro ruote. Sono la nuova nobiltà italiana, l’aristocrazia dei soldi che ha impietosamente sostituito quella dei blasoni e delle chimere araldiche.

Le «Dinastie» (Rizzoli, 192 pagine, 17 euro; e-book 9,99) nobiliari scompaiono così in uno scompiglio sociale basato sugli zeri. E nel suo viaggio nella Penisola alla ricerca del filone d’oro che ancora alimenta il prestigio e i sogni dell’industria italiana Masneri indaga le persone che azionano le leve del potere, i loro ingegni e le loro metamorfosi, e ne racconta ascesa e trionfi, abitudini, vizi e innegabili virtù, lamentando che «le startup in Italia latitano».

Masneri, l’anagrafe del suo libro segna una rivoluzione che potremmo definire monetaria: i blasoni sostituiti dai conti in banca. Come è potuto succedere?

Be’, è un processo che va avanti da un bel po’ in realtà, almeno dalla rivoluzione industriale. I blasoni sono sempre più un fattore decorativo, ma oggi nessun finanziere o industriale vorrebbe che i suoi figli impalmassero qualche conte o barone col castello impolverato. Piuttosto, figli e figlie di altri banchieri o finanzieri. Conta anche l’ambiente, come ci si conosce: oggi i ricchi fanno studiare tutti i figli nelle università americane, o almeno alla Bocconi, e lì non è che conoscono il marchese marchigiano o il visconte molisano; conoscono altri ricchi, magari cinesi. Poi, certo, se oltre la ricchezza c’è un titolo, male non fa; ma non è certo un fattore dirimente. Una volta poi i ricchi cercavano una legittimazione, sposando l’aristocrazia o almeno i «soldi vecchi»; oggi è il contrario, anche chi ha magari patrimoni antichi finisce a fare i balletti sui social.

Nessun nobile può vantare un pedigree bancario all’altezza dei nuovi ricchi?

Gli unici rimasti che uniscono blasone e denaro sono forse gli Agnelli-Elkann, che hanno continuato a impalmare vecchie famiglie. O i Ferragamo a Firenze, o i Sella in Piemonte, che oltre ai denari hanno il titolo; ma sono eccezioni.

I fondatori delle dinastie presenti nel suo libro sono stati favoriti dai tempi in cui hanno cominciato a operare?

Sicuramente sono stati favoriti dai tempi. Basti pensare agli influencer, o a chi ha cavalcato i social o anche solo la rivoluzione digitale, come Chiara Ferragni, o Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb. Personaggi geniali che ho messo nel libro.

Il matrimonio di Chiara Ferragni e Fedez, i Ferragnez - © www.giornaledibrescia.it
Il matrimonio di Chiara Ferragni e Fedez, i Ferragnez - © www.giornaledibrescia.it

Fra i grandi nomi e le grandi marche, i Ferragnez che tipo di capitale rappresentano? L’effimero promosso a indispensabile?

Sono il capitale umano, o disumano a seconda dei punti di vista. Sicuramente sono la famiglia reale italiana ai tempi di Instagram, quella che monetizza ogni briciola della propria vita, i figli, i parenti, la propria casa, gli affetti e i dolori. In questo sono l’opposto del motto delle case reali classiche, che era «never explain, never complain», mai spiegarsi, mai protestare. Loro non si tengono dentro niente.

L’Italia che i nostri padri avevano costruito come una potenza industriale è diventata in pochi anni una potenza alimentare: un regresso e tuttavia sempre un successo, visto che nei Fort Knox di tante imprese al posto dell’oro ci sono le forme di parmigiano?

È vero. Ma è il settore del cibo, insieme alla moda e a quello del turismo, quello che più ci fa amare all’estero. Basti pensare ai Barilla, ai Ferrero, o a Farinetti, l’inventore di Eataly, o al nostro Iginio Massari.

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