Cultura

Così il bresciano Tagliaferri disegnò il volto della Milano fin-de-siècle

Il professionista collaborò al rinnovamento urbanistico del capoluogo lombardo: suoi i fronti di edifici centrali
Casa al Carrobbio, veduta acquarellata, progetto ineseguito (1889)
Casa al Carrobbio, veduta acquarellata, progetto ineseguito (1889)
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Corre sulla tratta Brescia- Milano, tra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, l’attività e la fortuna dell’architetto Antonio Tagliaferri (Brescia, 1935-1909).

«Deus ex machina» del rinnovamento del volto nella nostra città tra i due secoli, come già ben documentato (suoi i progetti per il santuario delle Grazie, per le facciate della pinacoteca su piazza Moretto, e del Credito Agrario Bresciano e del Broletto su piazza Duomo, sua la creazione dello scalone per la Loggia), grazie a recenti ricerche archivistiche ne emerge sempre più delineata anche l’opera a Milano, dove Tagliaferri tenne uno studio, si distinse come progettista e come consulente nell’ambiente che gravitava attorno all’Accademia di Brera (dove si era diplomato), dividendo anche la propria vita tra le due città (a Brescia aveva affidato lo studio al nipote Giovanni, ingegnere) in una sorta di pendolarismo tra «capitale» e provincia che racconta molto anche della sua personalità.

Le ricerche

Le novità arrivano dagli studi di Irene Giustina, confluiti nel volume «Antonio Tagliaferri e l’architettura residenziale nella Milano Borghese», condotti nell’ambito della collaborazione tra Università di Brescia (dove l’autrice è professore associato di Ingegneria Civile e Architettura) e Fondazione Ugo Da Como di Lonato, che nel 2010 ha ricevuto in dono l’archivio Tagliaferri.

Una miniera di informazioni, tra disegni progettuali, note spese e corrispondenza, ma anche godibilissimi appunti di vita quotidiana. L’approdo a Milano, dopo gli studi a Brera, data al 1880 con la partecipazione al concorso per il monumento alle Cinque Giornate, immaginato da Tagliaferri come un’imponente torrione medievale.

Un ritratto di Antonio Tagliaferri
Un ritratto di Antonio Tagliaferri

L’architetto non vince, ma il suo progetto si distingue a livello regionale, così come quello per il Vittoriano di Roma, l’anno successivo (anche qui senza vittoria) lo proietta sulla scena nazionale. Il 1881 è anche l’anno della sala bresciana all’Esposizione Nazionale di Milano, immaginata come un ambiente neogotico secondo il gusto all’epoca prediletto dal progettista.

I progetti

Gusto che sarà giocoforza abbandonato a favore dello stile neorinascimentale adottato per la nuova edilizia borghese residenziale e «da reddito» a Milano, sostenuto anche teoricamente da Arrigo Boito. È del 1887 il primo lavoro di Tagliaferri per lo studio milanese degli ingegneri Casati e Magni con cui collaborerà da qui in avanti per il disegno degli alzati.

Il debutto avviene con tre palazzi nella prestigiosissima via Dante, arteria di collegamento tra Castello, Cordusio e Duomo secondo il piano regolatore steso da Cesare Beruto dal 1885. Seguiranno edifici in Foro Bonaparte (due villini e un palazzo) e nell’area di corso Magenta. In totale quattordici progetti, di cui due non realizzati, che danno conto dell’apporto di Tagliaferri - cresciuto coltivando un’architettura fondata sugli stili storici, sulla connotazione simbolica del «disegno» degli edifici e sul concetto di «decoro» - alla nuova concezione progettuale ingegneristica che, complice l’introduzione di nuovi materiali e tecniche costruttive, sempre più avrebbe guardato all’aspetto funzionale e tecnologico degli edifici.

Casa Laugier in corso Magenta, dettaglio dei balconi e della cornice a maioliche
Casa Laugier in corso Magenta, dettaglio dei balconi e della cornice a maioliche

Preparatissimo sotto il profilo della conoscenza dell’architettura storica e aggiornato sulle novità grazie ad una fornitissima biblioteca (850 volumi solo quelli giunti alla Da Como) e ai viaggi all’estero, Tagliaferri appronta per ogni progetto dettagliatissime «variazioni sul tema», coniugando filologia e inventiva, attraversando agilmente gli stili dal rinascimento al modernismo, e coinvolgendo spesso artisti e artigiani bresciani.

Tra le opere più riuscite, le tre case Laugier in corso Magenta (1905-1909) nelle quali affianca e raccorda rinascimento, barocchetto e liberty. Tra i progetti non realizzati, quello del 1889 per una casa al Carrobbio (porta Ticinese) in cui combina la memoria del rinascimento romano con soluzioni «alla francese» nei finestroni in ferro e vetro e nella copertura mansardata. Il «rendering» affidato ad un inedito acquerello (scelto anche come copertina del volume) è una scena di vita urbana che condensa, su un unico foglio, la vivacità progettuale dell’architetto e l’occhio curioso dell’artista, le due anime che accompagnarono l’intera opera di Tagliaferri.

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