«Così ho inseguito l'avventura di un uomo smanioso di traguardi»

Biografia di un grande imprenditore? Autobiografia? Storie di corruzione, cronaca di un disastro, della fine di un’epoca e di un sistema? Il romanzo della giornalista e scrittrice Elena Stancanelli, «Il tuffatore» (La Nave di Teseo, 240 pp., 18 euro; e-book 9,99 euro) è tutto questo e di più. «È un romanzo che ha per protagoniste alcune figure chiave della realtà, prima fra tutte Raul Gardini, ma anche la famiglia De André (il padre di Fabrizio, Giuseppe, lasciò la presidenza degli zuccherifici Eridania dopo che fu acquistata dal gruppo Ferruzzi di Gardini) e tante altre persone - puntualizza l’autrice, che con questo romanzo è finalista alla 60ª edizione del Premio Campiello (premiazione il 3 settembre a Venezia), ed è stata finalista anche al Premio Viareggio-Repaci -. Ho cercato di portare tutti questi personaggi dentro un’unica storia, per raccontare la 2ª parte del nostro Novecento. Per aiutarmi in questo tentativo di umanizzare e narrare quasi dal punto di vista antropologico quello che è successo al nostro Paese, mi ci sono messa dentro anch’io, che sono l’ultimo di questi personaggi».
La storia
Raul Gardini, di agiata famiglia, era nato a Ravenna il 7 giugno 1933. Fu un conquistatore, un condottiero fiero e audace, un tuffatore in un ambiente che induceva a grandi imprese, fino alla morte per suicidio il 23 luglio 1993. Il presidente della Ferruzzi finanziaria e della Montedison, il modello vincente di imprenditore italiano, era stato travolto (anche) dal rullo dell’inchiesta giudiziaria di «Mani Pulite» condotta dal magistrato Antonio di Pietro.
Che cosa l’ha colpita di più di Gardini, raccontato da molti come un imprenditore-predatore?
Non sono una storica, non sono un politico, e ho guardato a Gardini come guarderei al personaggio di un romanzo d’avventura, senza giudizio, osservandolo e raccontandolo. La fascinazione è spiegabile: è un essere coraggioso, spavaldo, forse anche arrogante. E questo è ciò che dei personaggi mi piace raccontare. Quanto al lato buio della sua vita - anche di questo parlo nel romanzo, ma io non sono un magistrato - lui stesso l’ha sanzionato in maniera definitiva. Probabilmente i tempi erano diversi da questi d’oggi. Era un predatore ma non in senso negativo. Non era uno che volesse depredare lo Stato per farne qualcosa da disporre a suo uso e consumo. Questo no.
Bello, coraggioso, ricco: una strada aperta dal destino?
Era uno con cui la vita era stata generosa. Era partito da un grandissimo privilegio, ma lui stesso racconta cosa significa essere un privilegiato. Significa doversi mettere alla prova con gli altri, e questo fa. Non è un uomo che si risparmia, non riposa sugli allori che la vita gli ha concesso. Guarda sempre molto avanti. Vuole cambiare le cose, vuole utilizzare il proprio denaro, la potenza, l’intelligenza per rendere il mondo un posto migliore.
La sua scalata, il sogno di un provinciale con le tasche piene o di uno che voleva imporsi?
Io mi sono occupata soprattutto di un essere umano, dei suoi dati caratteriali. Era un uomo nervoso, smanioso, incapace di stare fermo e doveva sempre darsi un obiettivo nuovo. Questo è stato cruciale nel fallimento di ciò che lui considerava un suo ruolo. Nei grandi personaggi c’è sempre una fragilità privata. Dal punto di vista caratteriale, lui aveva quell’agitazione mercuriale che da una parte lo portava a essere sempre prima degli altri nel posto che voleva raggiungere, dall’altra gli impediva di avere la pazienza sufficiente per raggiungere quello che lui desiderava.
Il suicidio per evitare la galera?
Il suicidio è tante cose insieme. Non mi permetterei mai di spiegarlo e giudicarlo, ma dopo aver studiato Gardini per tanto tempo, un suicidio di quel tipo non è naturale per uno che aveva vissuto la vita come lui. Gardini è stato un personaggio hemingwayano e come Hemingway ha concluso la sua vita in modo violento. Era un uomo appassionato del futuro, ma aveva strumenti tradizionali, novecenteschi. Era un adulto che sognava da ragazzino, quella mascolinità decisionista e potente che aveva ereditato non funzionava più, stava perdendo fascino. Oltre lo scandalo, le inchieste, il fallimento, oltre l’impossibilità di affrontare il carcere, forse la sua solitudine, la notte prima del suicidio, era anche quella di un uomo che intorno a sé non vedeva più niente che gli somigliasse. Visionario abbastanza da capire che non era solo la fine per lui, ma per quelli come lui.
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