Cultura

Cos'è il wikibombing

Pagine di Wikipedia usate per commentare post su Facebook: il wikibombing è una nuova forma di trolling
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Ricette per il risotto alle ortiche, regole del gioco della cicera, la vita delle tinche, l'etimologia di un termine raro: tutti esempi di commenti che stanno circolando su Facebook e Instagram nell'ultimo periodo. 
Non è un virus, ma una nuova moda social che sfoggia cultura in pillole, tratta perlopiù dalle pagine di Wikipedia. Con che scopo? E da dove è nata?

Il wikibombing, com'è stato definito il fenomeno, è diventato popolare nei giorni successivi alla famosa proposta di matrimonio di Fedez a Chiara Ferragni all'Arena di Verona. Per giorni non si è parlato d'altro, la notizia aveva letteralmente invaso siti e giornali cartacei e il video era diventato virale nel giro di poche ore. E tuttavia fin da subito, in mezzo all'entusiasmo di orde di fan impazziti per la scena romantica più social di sempre, ha iniziato a farsi strada una reazione opposta. Sui profili del rapper e della fashion blogger sono apparsi centinaia di commenti più disparati: dalla fisica quantistica alle poesie, dallo stile di vita di animali rari alle istruzioni per cucinare una perfetta amatriciana. Insomma, anche per gli ammiratori della coppia socialite il bombardamento di foto e post in tempo reale stava diventando eccessivo. E quindi si sono armati di copia incolla da Wikipedia e ne hanno fatto la loro protesta.

 



In realtà, già prima di Fedez e Ferragni, su varie pagine Facebook ma anche in altri social network circolavano meme (le immagini con modi di dire o frasi di personaggi famosi, ricontestualizzati come parodia e con lo scopo di diventare virali) creati apposta per comunicare disinteresse, insofferenza o direttamente insulti sotto ai post più visualizzati. Non li usano solo i cosiddetti internet hater o i troll - persone che si servono di profili finti per commentare un blog o una pagina Facebook per divertimento (trolling) o per scatenare discussioni violente sul web - ma anche utenti comuni.

Studi recenti, come quello congiunto di alcuni ricercatori della Stanford University (California) e della Cornell University (Stato di New York), hanno dimostrato che sia il cattivo umore sia il contesto aumentano le probabilità di una persona di agire da troll o in maniera aggressiva in una discussione online (clicca qui per il pdf dello studio). Per esempio, leggere un post troll aumenta le probabilità di commentare in modo troll a propria volta, in una reazione a catena. È soprattutto il tono d'inizio di una discussione a lanciare il la; quindi se si comincia con un insulto è molto improbabile aspettarsi un ragionamento costruttivo e approfondito.

 

Maurizio Crozza nei panni di Napalm51 su La7
Maurizio Crozza nei panni di Napalm51 su La7

 

A questo punto bisogna però porsi un'altra domanda: perché, se non si è interessati a una determinata notizia, si avverte comunque l'esigenza di commentarla in qualche modo? Le reazioni violente sono state affrontate in numerose analisi dedicate all'aggressività su internet. Scarsa autostima, senso di sicurezza aumentato da dietro lo schermo, invidia per le vite (artificiosamente) perfette e interessanti degli altri, sfogo per l'insoddisfazione sperimentata in varie situazioni della vita reale quotidiana, crisi di presenza, cattivo umore, più un disagio tutto mediatico come il Fomo, the fear of missing out, la paura di perdersi qualcosa (e di farsi sorprendere dagli altri come poco aggiornati). Questo è inserito da Mashable, una compagnia globale di supporto multimediale che lavora come fonte di cultura digitale, in un decalogo dei comportamenti più usati sui social media dai passivo-aggressivi. Al tema è stato dedicato un interessante documentario intitolato The Internet Warriors, con interviste a una serie di hater condotte dal regista Kyrre Lien (lo trovate qui, in lingua originale sottotitolato in inglese). 

 

Una vignetta pubblicata sull'ultimo numero di Internazionale - 26 maggio/2 giugno 2017
Una vignetta pubblicata sull'ultimo numero di Internazionale - 26 maggio/2 giugno 2017

 

Anche per il trend dei commenti eruditi possono valere molte delle motivazioni appena esposte. È stato anche notato che usi come questi, compresi i meme, permettono di evitare l'uso della prima persona singolare, che è il pronome con cui ci si espone, si prende posizione, si formula e si esprime un pensiero. Si commenta in modo buffo anche per essere riconosciuti come persone spiritose e divertenti dagli altri, anti convenzionali rispetto alla pioggia di reazioni banali e prevedibili. Ma adeguarsi passivamente alla moda dei commenti stronca alla base ogni riflessione (auto)critica sull'esigenza che abbiamo sviluppato di parlare anche quando non abbiamo niente da dire. Soprattutto a proposito di fatti che non hanno nulla a che fare con la nostra vita reale. 
Non avvertire la spaccatura fra quest'assenza di contenuti e il compulsivo bisogno di partecipare alla vita del web continua ad alimentare il cortocircuito. 

Quindi sì, magari scoprire cosa mangia il cavedano europeo (Squalius cephalus) sotto il link di qualche articolo fa sorridere, ma di quell'umorismo pirandelliano: dopo la risata, arriva la percezione dell'altro lato della faccia, disturbante e il cui senso è sempre più difficile da comprendere. 

 

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