Cultura

Cosa esprimono i capelli nel Medioevo

La bresciana Virtus Zallot presenterà il suo saggio il 22 ottobre a Breno e il 29 a Cedegolo
Sibilla in Santa Maria Annunciata (particolare) a Bienno
Sibilla in Santa Maria Annunciata (particolare) a Bienno
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I capelli, scriveva sant’Ambrogio, «non sono altro che le parti superflue del corpo». Lo ricorda Virtus Zallot all’inizio del libro «Sulle teste nel Medioevo. Storie e immagini di capelli» (il Mulino, 288 pagine, 26 euro, prefazione di Alessandro Vanoli): la studiosa bresciana - docente di Storia medievale e di Pedagogia e didattica dell’arte all’Accademia Santa Giulia - ha analizzato una ricchissima mole di testi e dipinti medievali, per dimostrare come la valenza espressiva e simbolica dei capelli possa, in realtà, andare ben oltre le lusinghe effimere della vanità. Nella vita quotidiana e nell’immaginario medievali - scrive l’autrice - i capelli «dichiaravano appartenenza o alterità distinguendo il povero dal ricco, il vicino dallo straniero, il laico dal chierico, la donna onesta della dissoluta, la vergine dalla maritata, il vanitoso dall’umile».

E parlavano di molto altro ancora, come spiegherà venerdì prossimo, 22 ottobre, alle 20.30, presentando il suo libro nel Palazzo della Cultura di Breno; e ancora il 29 ottobre alle 20.30 al Musil di Cedegolo.

Virtus Zallot, cosa esprimono i capelli nel Medioevo? Sono indicatori importanti, nelle immagini ed anche nei ritratti letterari. Mi interessava la loro espressività e ho riflettuto su quello che significano al di là dell’aspetto strettamente fisico. Diventano metafore: i capelli bianchi, ad esempio, indicano saggezza, autorevolezza. E il colore biondo è sempre simbolo di virtù? Denota elevatezza, perché nel nostro ambito geografico era relativamente raro e quindi considerato prezioso. È il colore tanto delle principesse quanto delle sante (anche quelle di origine africana, come Santa Giulia), fino alla Madonna stessa. Si pensi poi ai poeti, ai «capei d’oro» della Laura del Petrarca. Il biondo è per le persone "speciali", da un punto di vista sia etico sia sociale.

I capelli lunghi sono indice di bellezza, ma anche la morte nei dipinti li porta… Tutti i simboli medievali hanno una certa ambiguità che si svela nei singoli contesti. La morte deve avere i capelli lunghi perché, essendo raffigurata come uno scheletro, essi sono gli unici elementi che consentono di percepirla come femmina. I capelli lunghi sono sempre stati considerati necessari alla femminilità: la si negava, sia volontariamente sia per imposizione, proprio tagliandoli. Sono significati che giungono fino a noi.

Glisente biondo e ben acconciato in San Lorenzo a Berzo Inferiore © www.giornaledibrescia.it
Glisente biondo e ben acconciato in San Lorenzo a Berzo Inferiore © www.giornaledibrescia.it
Anche gli uomini avevano i capelli lunghi? Sì, talora raccolti in code o trecce o perfino messi in piega. Questa attenzione non solo alla cura di base, ma anche all’acconciatura, è maschile e femminile. Ho anche analizzato le cure vere e proprie, ad esempio i consigli dei ricettari per avere capelli belli, folti e forti. Non sempre sono ricette ripetibili: per annerirli è richiesto un ramarro senza coda e senza testa, contro la calvizie il grasso d’orso...

La calvizie era una disgrazia… Nell’alto Medioevo era considerata non solo infamante, ma anche invalidante: si riteneva che la forza risiedesse nei capelli. Ci sono eccezioni, grandi figure con pochi capelli, il che ne aumentava il valore. Ma gli eroi hanno tanti capelli, condizione necessaria per gli uomini come attributo di virilità, per le donne come principale elemento di bellezza.

Quali esempi bresciani ha citato? Parlo di Santa Giulia perché - nella leggenda e nei dipinti in Santa Maria in Solario, a Brescia - i suoi capelli sono strumenti di sopraffazione. La Santa è trascinata per i capelli davanti al giudice, e appesa per i capelli per essere torturata. Ma quando viene crocifissa, sono di nuovo lunghi e bellissimi, perché sono il suo attributo di vergine. Ho fatto poi esempi camuni, a Esine, Bienno, Berzo Inferiore. Ma si potrebbero ampliare a tutto il territorio bresciano: sono i frutti di una convenzione che ha infinite declinazioni.

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