Concita De Gregorio: «Le mie donne tra libertà e cura dell’altro»

Una storia personale, dalle risonanze intime, e al tempo stesso un racconto corale, che attraversa il tempo intrecciando tre epoche e tre stagioni della vita. «Di madre in figlia» (Feltrinelli, 160 pp., 16 euro) è l’ultimo libro (ed il primo romanzo) di Concita De Gregorio, nota giornalista, scrittrice, conduttrice, firma storica di Repubblica e già direttrice dell’Unità. De Gregorio lo presenterà oggi alle 17, all’auditorium San Barnaba, per Librixia- Fiera del libro, con la partecipazione di Clara Camplani. Ne conversiamo con l’autrice.
Concita De Gregorio, come nasce l’idea di questo libro?
Difficile dirlo: le cose accadono e, se andiamo a ritroso per chiederci come mai, spesso non sappiamo rispondere. Per circa quarant’anni ho ascoltato le vite delle persone, vite che s’incorporano, restano dentro di te e, quando le hai sentire, ormai sono lì, non puoi dimenticarle. Mi sono ammalata, ho avuto un cancro, quindi per due anni mi sono curata con radioterapia e terapie farmacologiche e questo ha fatto sì che mi fermassi, che il ritmo delle cose rallentasse. Il valore del tempo ha preso un’altra dimensione: si restringe e si dilata contemporaneamente, è potenzialmente minore di prima e anche più pieno, corre in modo diverso. Dentro questo spazio nuovo, che ho osservato senza opporre resistenza, ho solo cercato di capire come starci e adeguarmi alle nuove condizioni. Ed è emersa questa storia.
Vi sono riferimenti autobiografici?
È molto personale, ma non è la storia della mia famiglia: è un racconto familiare che segue la traccia materna, per me nota. Nel libro cinque generazioni di donne, a partire dai primi del ‘900 ad oggi, compiono un cammino fatto anche di libertà rispetto sia al mondo esterno, sia alla famiglia stessa e custodiscono un segreto che, come spesso accade nelle famiglie, è custodito da una figura femminile. Segue la linea della cura, dell’avere cura dell’altro: i farmaci, gli abbracci, la madre ossessionata dalle malattie della figlia, l’attenzione data dall’amore… Medicamenti che possono essere salvifici, ma che possono anche annientare.
Chi sono i personaggi principali del romanzo?
Marilù, Adelaide ed Angela. Ogni capitolo è anticipato dal nome della persona che parla; in apertura una genealogia di queste donne e, in copertina, una conchiglia che richiama la circolarità della vita familiare. La prima è la più giovane, Adé (così si fa chiamare), una ragazzina che soffre di disturbi alimentari e del sonno, è seguita da una psicologa, ha una personalità forte ma anche molto fragile: incarna gli adolescenti di oggi. Sua madre, Angela, è molto ansiosa, deve sempre avere il controllo, è spaventata dall’idea di toccare questa figlia “di vetro” come se avesse paura di romperla; molto razionale, è figlia degli anni ’90, quelli della competizione. E poi Marilù, che invece è figlia degli anni ’70, una donna libera e bellissima, senza pregiudizi, che ha vissuto un’esistenza fuori dagli schemi; sua madre era farmacista, la nonna Agata un’erborista che era stata chiusa in convento perché con le erbe poteva dare la vita e la morte.
Il tema della cura e dell’amore, come lei diceva, è fondamentale…
La cura può guarire oppure avvelenare. Dipende sempre da come la misuriamo; anche le medicine possono essere tossiche, per questo vanno dosate. E lo stesso vale per l’amore: serve un equilibrio costante, un centro di gravità. È quello che tentano di trovare le protagoniste del libro. A volte ci riescono, altre volte no, ma almeno ci provano.
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