Come si è arrivati al fantasioso e affollato presepe napoletano

Il primo presepe, ispirato forse dalle sacre rappresentazioni di varie liturgie celebrate nel periodo Medievale, lo allestì San Francesco, «che la notte di Natale del 1223 vestì gli abitanti di Greccio, un borgo pastorale in provincia di Rieti, con i panni dei pastori e dei re Magi, di San Giuseppe e della Madonna». La sua, tuttavia, era una «natività ridotta alle figure essenziali, ma senza nulla e nessuno che non fosse compreso nel racconto evangelico».
Oggi, invece, a distanza di tanti secoli, sono gli artigiani napoletani che reinventano il presepe e lo tramandano di anno in anno con nuovi personaggi, realizzati da una fantasia spigliata che mischia vecchio e nuovo, sacro e profano, ma che riflette l’anima d’un popolo schietto e devoto e d’una ricorrenza universale che è espressione popolare. Per questo, spiegano i prof. Marino Niola, docente di Antropologia dei simboli, e Elisabetta Moro, ordinario di Antropologia culturale all’Università degli Studi «Suor Orsola Benincasa» di Napoli, autori di un saggio edito da Il Mulino, l’allestimento de «Il Presepe» (244 pagine, 16 euro) «è un plastico del dogma teologico della Natività. Ma è anche arte, tradizione, colore locale. Ethos e pathos, sentimento e passione, rito e teatro. Di fatto, il Vangelo in dialetto, una storia sorprendente in tutti i sensi».

Non stupisce quindi che ad «Acireale in Sicilia, i pastori somigliano ai pupi. In Tirolo la grotta di Betlemme si trasferisce sulle Alpi e la Sacra Famiglia è scolpita nel legno. I francesi hanno come scenario i monti della Provenza e in Germania i pastori vestono i panni dei montanari bavaresi, mentre quelli dei presepi latinoamericani indossano i tradizionali costumi andini e la savana con gli animali selvaggi fa da paesaggio ai presepi africani». Ed è così che il presepe, in tutte le sue manifestazioni è sempre «espressione sia di fede sia rituale. È una cosa materiale, che serve a dire quanto di più immateriale ci sia, cioè il dogma del Dio che si fa uomo. Nasce, cresce, muore come un comune mortale, ma al tempo stesso sconfigge la morte. E così rivoluziona la storia dell’umanità».
Perché Napoli incarna l’anima del presepe francescano e ne incrementa la conoscenza nel mondo con l’inclusione di personaggi dell’attualità, lontani dai tempi reali, ma presenti nell’immaginario popolare? Napoli incarna l’anima del presepe francescano, ma la dinamizza, la centrifuga, polverizzando il nucleo religioso, cioè la nascita del divino Infante, in un numero di scene sacre, ma anche profane, virtualmente infinito, che funziona per accumulo e per aggiunte continue, anno dopo anno. Se il presepe francescano rappresenta la Natività, quello napoletano rappresenta l’umanità. Soprattutto quella partenopea.

Quali sono i personaggi fissi del presepe, oltre a quelli della tradizione religiosa, che non mancano mai nella messinscena partenopea? Benino, il dormiente che rappresenta l’umanità che si desta dal sonno del paganesimo all’annuncio della Buona Novella. Poi il pastore della meraviglia, folgorato dalla luce della Cometa. E ancora il corteo multietnico che accompagna i Magi. Oltre a suonatori, venditori, macellai, pescivendoli, pizzaioli, verdurai, zingare, indovine, filatrici, sarte, modiste, mendicanti, etc. Poi ci sono gli osti sullo sfondo di costolette succulente e di salsicce appese nelle cucine delle locande. Il che è un delizioso errore storico, perché nel mondo ebraico, cui in origine appartiene Gesù, la carne di maiale è assolutamente proibita. Ma nel mondo popolare partenopeo è un must alimentare. E tanto basta.
Il presepe è il «made in Italy» della religione, una tradizione che anche il Papa raccomanda vivamente? Sì, nel libro lo definiamo così. Perché, con tutto il rispetto, il presepe rappresenta un «made in Italy» della religione. Inventato dal Patrono d’Italia, e diffuso prima nel nostro Paese poi, via via, nel resto del mondo. Grazie soprattutto a quello napoletano, che non a caso troviamo in tutti i musei del pianeta. Insomma, stiamo parlando di un brand devoto, di un umore spirituale, di una stilizzazione del sacro incontestabilmente tricolori.
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