Quando la Mostra del cinema chiedeva lo smoking: Alberto Pesce compie 100 anni

Un secolo di Alberto Pesce, oggi. Il decano dei critici cinematografici italiani - storica firma del Giornale di Brescia, col quale collabora in maniera continuativa dal 1960, nonché autore di numerosi saggi e pubblicazioni critiche e cinedidattiche - compie infatti cento anni, portati con disinvoltura, lucidità e… intatta voglia di scherzare: «Io so - ci dice sorridendo - che il 2 luglio è il giorno del Palio di Siena…di altri anniversari non saprei…».
Nativo di Pieve di Cadore, nel bellunese, e cresciuto a Legnago, nel veronese, Pesce è bresciano per matrimonio ed elezione: già accasato con la signora Rachele da Bagnolo Mella, con collaborazioni in atto proprio all’ombra del Cidneo a partire dal 1951 (su tutte, quella con la rivista «Humanitas»), si trasferì con la famiglia nella nostra città nel 1954, per insegnare nella scuola media, associando la docenza, e poi la carriera di dirigente scolastico, a quella pubblicistica.
A Venezia
Corsi e ricorsi, nella sua vita: è curioso, in particolare, come avesse conosciuto la futura consorte al Lido di Venezia, dove al termine della Seconda Guerra Mondiale era approdato per un ciclo di cure, non immaginando allora che l’isola sede del prestigioso festival sarebbe divenuta quasi una seconda casa per lui, negli anni seguenti.

Alla critica cinematografica ci arrivò indirettamente, come ci ha raccontato: «Da laureato disoccupato, mi pareva che a Legnago, alla fine degli anni Quaranta, non ci fossero prospettive per me. Ma venni a conoscenza dei corsi di giornalismo per corrispondenza offerti dall’università romana Pro Deo, che in ambito culturale consentivano di scegliere tra l’approfondimento di teatro o cinema. Scelsi quest’ultimo, verso il quale la curiosità infantile era divenuta prima slancio, quindi hobby privilegiato; il passo successivo, verso un critico mestiere, fu conseguenza, a rimpallo, di un’eguale passione per lo scrivere».
In smoking
E la Mostra di Venezia fu una delle prime palestre in cui esercitarlo: «Quando cominciai a frequentare il festival, non c’erano proiezioni riservate ai giornalisti: dovevamo presenziare a quelle del pubblico, rigorosamente in smoking. Quindi scrivere, di notte o prima dell’alba, per consegnare le recensioni a un fattorino che il mattino si precipitava alla stazione ferroviaria di Santa Lucia, per spedirle alle diverse redazioni». Quando finalmente vennero istituite le proiezioni stampa, il problema diventò quello di trovare una cabina telefonica libera per dettare il pezzo appena terminata la proiezione: «C’erano critici di testate nazionali - rammenta Pesce - che, pur di accaparrarsela, anticipavano l’uscita dalla sala, perdendo il finale dei film, col rischio talvolta di travisarne il senso».
Pesce ha collaborato a moltissime riviste di settore (o più legate alla didattica), tra cui «Cineforum», «Bianco e Nero», «Madre», «Filmcronache», «Il ragazzo selvaggio», «Segnocinema», «Letture», «La Rivista del Cinematografo», «L’educatore italiano». Definito dal collega Marco Bertoldi «critico di provincia, ma non provinciale», da sempre aperto alla visione di ogni genere di film (ma con una passione particolare per il cinema d’autore e per cineasti quali Dreyer, Bergman, Fellini, Tarkovskij e Olmi), Pesce ha affidato ricordi e aneddoti professionali al volume «Dalla provincia. Con amore - Confidenze di un critico», del 2007, che resta forse - tra gli oltre venti libri che ha scritto da “solista” - quello a cui è più affezionato.
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