Marco Bellocchio: «Mi sono liberato dalle ideologie, ora racconto storie nella Storia»

A 84 anni compiuti da poco, Marco Bellocchio conserva un’invidiabile freschezza di sguardo. Tanto che continua a realizzare opere cinematografiche di grande valore, come «Esterno Notte» (2022) e «Rapito» (2023), che raccontano magnificamente storie dentro la Storia.
Il regista piacentino di «Sbatti il mostro in prima pagina» e «L’ora di religione» sarà a Brescia domani, mercoledì 22 novembre, per un incontro con il pubblico organizzato da Rete «Cinema e Scuola» e Associazione Blue Velvet. L’incontro si terrà alle 18, al teatro Sancarlino di corso Matteotti 6 (con ingresso libero fino a esaurimento posti) con cambio di data e location, anticipando di un giorno (era previsto inizialmente per giovedì) a causa di impegni dell’artista.
Abbiamo intervistato il regista.
Bellocchio, il suo cinema è sovente considerato divisivo, anche se già ai tempi de «I pugni in tasca» lei sosteneva di non avere «posizioni da difendere». Guardando i film degli anni Duemila, ad ogni modo, si ha l’impressione di una totale libertà creativa, oltre che stilistica…
In passato sono stato condizionato dalla volontà di sostenere principi verso i quali sentivo una sorta di obbligo di fedeltà, quindi ingabbiato da schemi e pregiudizi. Da tempo non mi sento vincolato a discorsi ideologici nei contenuti, mi interessano invece le storie nella Storia. Così muovo da un strutture realistiche per poi lasciare spazio al mio «spirito libero», che si manifesta durante le riprese, ma anche in fase di montaggio. Mentre sul versante stilistico non sono più attratto dalla «bella inquadratura», anche se conservo una mia precisa cifra stilistica.
L’ha stupita che per «Rapito», il film su Edgardo Mortara (il bambino ebreo battezzato di nascosto da una domestica, il cui «sequestro» nel 1858 da parte del Vaticano fu un caso di risonanza mondiale), tra le tante recensioni positive, ce ne siano alcune entusiastiche di matrice cattolica, come quella di don Davide Milani su «La Rivista del Cinematografo»?
L’ho visto come un segnale di attenzione, che ho apprezzato. Sono rimasto molto colpito da una situazione che già alla metà dell’800, quando accadde, appariva anacronistica; ma che Pio IX volle fortemente per riaffermare un potere che sul piano temporale stava deteriorandosi, in cui la parola d’ordine era «conversione». Pio IX è stato beatificato da papa Wojtyla come «eroe della Fede», ma papa Bergoglio non parla tanto di conversione, quanto piuttosto di condivisione, di confronto, di unione.
«Esterno Notte», sul caso Moro, oltre che un grande film, è il suo esordio nelle serie tv. Un’esperienza che ripeterà?
C’è un progetto per raccontare, in sei episodi, la traiettoria di Enzo Tortora: siamo alla fase embrionale, vedremo. Ad ogni modo, mi piacererebbe raccontare questa pagina italiana di clamorosa ingiustizia.
C’è un film a cui è affezionato più che agli altri?
Lo sono in modo particolare a uno dei più «piccoli» tra quelli che ho realizzato, «Marx può aspettare» (documentario del 2021, su una vicenda tragica accaduta alla sua famiglia, ndr). In tutti i film parto dalla mia storia personale, ma qui la connessione tra vita e cinema è al massimo grado, come pure la sincerità.
Giovani cineasti bresciani stanno crescendo, ma Silvano Agosti e Franco Piavoli restano i registi per eccellenza della nostra provincia. Che ne pensa, lei che li conosce bene?
Sono molto bravi e molto diversi tra loro. Con Silvano, che ha montato egregiamente il mio «I pugni in tasca», ho collaborato in varie occasioni: ne ammiro il coraggio e il saper fare tutto, anche se non sempre condivido la sua filosofia cinematografica e produttiva. Piavoli è un poeta del cinema, che ha scelto di rimanere appartato: mi chiedo cosa sarebbe accaduto se fosse andato a lavorare a Roma dopo «Il pianeta azzurro», ma non credo che ne abbia mai avuto davvero voglia.
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