Cinema

«L’anima», docufilm sull’artista Paolo Bignotti che fu spirito libero e incompreso

Enrico Danesi
Al Nuovo Eden il biopic che il bresciano Massimo Grandi, regista, operatore e produttore, dedica al pittore di Travagliato
"L'Anima", un film di Massimo Grandi
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Il cinema come strumento per fare memoria, anche rimediando a lacune della cronaca, o della storia. Si inserisce nel filone «L’anima» di Massimo Grandi, appassionato ritratto d’artista, un biopic incentrato sulla figura misconosciuta di Paolo Bignotti (1918-1978), pittore di Travagliato che in vita godette di considerazione inferiore al suo valore. Ma il lungometraggio, che rappresenta l’esordio nella fiction di Grandi (egli pure travagliatese, da oltre trent’anni operatore, regista e produttore a Teletutto), ha un collegamento indiretto con la Strage di Piazza della Loggia, perché la parabola artistica di Bignotti lambì quella tragica vicenda, in maniera del tutto fortuita e apparentemente labile, ma di fatto decisiva per le sue fortune.

La proiezione

Il film è in programmazione martedì al Cinema Nuovo Eden di Brescia, iniziativa promossa dalla Casa della Memoria in preparazione alla commemorazione della Strage, di cui ricorre quest’anno il 50º anniversario (in via Nino Bixio 9, alle 20.45, con ingresso gratuito). Per ragioni anagrafiche, il biografo ha conosciuto da lontano l’artista suo compaesano, percependo comunque il fascino che emanava da creazioni personalissime, frammiste ai riflessi di una nomea eccentrica, che una volta attribuita resta appiccicata come una seconda pelle. Grandi - anche documentarista e fotografo - ha potuto studiare il materiale che già il filmmaker Achille Rizzi aveva raccolto su Bignotti, con l’intenzione di farci un reportage in vita: progetto solo abbozzato, ma base per il successivo soggetto di Luigi Salvi, sceneggiato da Francesco Ferrazzi sotto l’egida di Grandi medesimo.

Con la forma del docufilm, l’autore racconta il genio non riconosciuto, l’uomo fuori dagli schemi, che soffre l’indifferenza, se non addirittura l’ostilità verso una professione che l’immaginario popolare (e pure familiare, nel suo caso) equipara alla condizione del fannullone, del «michelass» della tradizione.

Ne tratteggia lo spirito libero attraverso episodi paradigmatici (casalinghi, lavorativi, da bar) che aiutano a definirlo, concentrandosi poi sul periodo in cui Bignotti vince la ritrosia e si misura con il capoluogo, una «sfida» funestata da una pagina nerissima, che purtroppo coincide con il suo affaccio alla ribalta.

Il regista

Ci ha spiegato Massimo Grandi: «Per i travagliatesi, Brescia era sempre un’avventura enorme, affrontata con timore reverenziale. Fu così per Bignotti: una volta che trovò il coraggio e la cosa abortì per ragioni esterne, venne meno il suo slancio».

Notevoli fotografia e uso della luce, che il regista (coadiuvato da Carlotta Franzoni) impiega da virtuoso nell’affresco che si dipana tra anni 60 e 70; di ruspante aderenza le interpretazioni di Mirko Signorelli (che restituisce gli stati d’animo cangianti del mite Bignotti), Elvio Basotti, Pietro Arrigoni, Livia Marmaglio e Donatella Valgonio; riuscito il commento musicale tutto nostrano di Charlie Cinelli e Lüf, supportati da Daniela Savoldi e Renato Bertelli. 

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