Cultura

Chiara Picchi: «Con il maestro Muti ogni nota è una storia»

La giovane di Gavardo è primo flauto dell’Orchestra Cherubini e suonerà a Spoleto
La giovane musicista di Gavardo Chiara Picchi - Foto Laura Bergami © www.giornaledibrescia.it
La giovane musicista di Gavardo Chiara Picchi - Foto Laura Bergami © www.giornaledibrescia.it
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Difficile scegliere se il suono di Chiara Picchi - limpido, fulgido, sorridente, incantevole - sia più voce dell’anima o specchio del volto. È la bellezza del suono della musicista di Gavardo ad aver colpito Riccardo Muti, che l’ha scelta fra più di un centinaio d’altri flautisti e inserita nell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini come Primo Flauto. «Quest’estate sono impegnata nella stagione del Ravenna Festival, in un ricco cartellone - racconta Picchi -. A fine giugno ho suonato col maestro Valery Gergiev e la pianista Beatice Rana, nella Sinfonia Pastorale e nel Terzo Concerto di Beethoven; collaboro con l’Italian Opera Academy per direttori, sempre condotta da Muti; poi, a fine agosto, sono a Spoleto per il concerto finale del Festival dei Due Mondi, replicato in settembre a Ravello. Nel periodo invernale ci concentriamo più sull’opera lirica, nel tempo estivo si privilegia il repertorio sinfonico. Ricordo con particolare intensità il concerto, con parti solistiche piuttosto impegnative, tenuto nell’aula del Senato di Palazzo Madama a Roma in dicembre, un luogo che avevo visto solo in televisione e di cui ho avvertito l’importanza».

Con i giovani, Muti è più severo o paterno? «Innanzitutto è un onore lavorare con lui. Mai avrei immaginato di seguire la sua bacchetta, attraversata dal suo sguardo magnetico. Si percepisce che per noi prova un affetto speciale. Ha un gesto chiarissimo, al minimo cenno della mano corrisponde un risultato sonoro. Mi sto inoltrando nel "cammino infinito della conoscenza": su ogni nota grava una storia, un significato, un peso, una parola, che il maestro Muti ci spiega, volentieri ricorrendo a metafore letterarie. Nulla è lasciato al caso. Si tratta di un’esperienza indimenticabile, formativa in senso ampio: musicale, culturale, umana. Non un rassicurante pacchetto di nozioni e informazioni specialistiche, ma una scossa radicale, un simultaneo sviluppo dell’intelligenza e del gusto, la facoltà di percepire la costituzione irriducibilmente misteriosa dell’universo e della vita. Mi sembra di vivere in un sogno: nella mia recente memoria si agitano il carisma e la scioltezza di Maurizio Pollini, la proiezione del suono e l’immensa musicalità del violinista Kavakos. Artisti che aprono mondi».

La sua tesi di laurea al Conservatorio «Marenzio» esamina la musica per flauto di autori bresciani contemporanei. Cosa ha scoperto? «Che non esiste una "Scuola bresciana". I compositori che ho osservato - Giancarlo Facchinetti, Paolo Ugoletti, Claudio Mandonico, Antonio Giacometti, Luca Tessadrelli, Domenico Clapasson, Marco Nodari, Claudio Bonometti - sono, al contrario, personalità diversissime e originali, con estetiche potenti e poliedriche. Mi piace citare le «Varianti per flauto Op. 195» di Facchinetti, mentre nei brani del mio relatore Ugoletti (come nel «Duetto Gadelico», che ho eseguito in prima assoluta) ho rintracciato una scrittura densa, soluzioni armoniche audaci, pungenti tratti politonali, una magnifica cantabilità che cattura».

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