Cultura

Carlo Simoni: «Un'indagine genealogica lunga 40 anni»

«Ho scritto di me e della mia famiglia non per regolare i conti, ma per tenerli aperti»
Lo scrittore e studioso bresciano Carlo Simoni - © www.giornaledibrescia.it
Lo scrittore e studioso bresciano Carlo Simoni - © www.giornaledibrescia.it
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Una «indagine genealogica» che ha richiesto 40 anni per assumere forma compiuta in un romanzo apertamente autobiografico. Carlo Simoni racconta di avere scritto le prime righe di «Se viene qualcuno» (Castelvecchi, 396 pagine, 25 euro) poche settimane dopo la morte di suo padre: «Ci sono voluti altri vent’anni perché riprendessi quell’abbozzo e di seguito, come fosse caduto un impedimento, alcune storie della mia infanzia, dell’adolescenza e della prima giovinezza. Dopo aver scritto molti romanzi che parlano di altri, ho pensato di poter ritornare a quei primi anni di vita senza mediazioni - se non quella più ovvia, ma a suo modo sostanziale: il cambio dei nomi - e di doverlo fare, in ragione del fatto che là sentivo la fonte della mia scrittura».

Nell’intreccio di memorie dello scrittore e studioso bresciano, confluite nella storia della famiglia Savona, hanno un ruolo centrale le figure dei genitori: il rapporto complesso col padre e il dolente resoconto della «passione» della madre, la sua sofferenza psichica.

Temi emotivamente coinvolgenti: come si trova la distanza giusta per raccontarli? Per quella che è la mia esperienza, credo si debba, da un lato, non rimuovere la memoria di dolori e sconfitte che hanno inciso profondamente in quello che siamo diventati. In secondo luogo, lasciare che arrivi il tempo opportuno - non siamo noi a deciderlo - per riattraversare un passato che non è passato. A questo punto, la scrittura può essere il mezzo, non l’unico, per guadagnare la distanza necessaria a compierlo davvero, quell’attraversamento. Non terapeutico né liberatorio: piuttosto, all’altezza del desiderio, che non si è smesso di nutrire, di comprendere quello che ci è successo.

Perché, nella nota conclusiva, parla di un’indagine «genealogica»? Non ho scritto di me e della mia famiglia, come spesso si fa ed è legittimo fare, per regolare i conti con chi ha contato nella propria formazione, ma anzi per tenerli aperti, quei conti. O meglio, per non consegnare al passato vicende, voci, sentimenti e modi di stare al mondo che mi hanno costituito. In questo senso è un’indagine genealogica: da giocarsi tuttavia non sul terreno dello storico, da me a lungo praticato, ma su quello del narratore.

Come ha strutturato le sei parti in cui il libro è diviso? Ho per qualche tempo accarezzato l’idea di riunire in un libro a sé stante soltanto i due racconti maggiori, quelli centrati sulle figure di mio padre e di mia madre. Senonché, a una rilettura più distesa, quella che mi è balzata agli occhi è stata l’immagine di una sostanziale circolarità, di una reciprocità di rimandi fra moduli espressivi diversi, fra differenti maniere di volgersi al passato. Ne è scaturito un romanzo fatto di racconti, distinti fra loro, ma che alla lettura lasciano intravedere la relazione profonda che tra loro intercorre.

Quanto si mescolano ricordi reali e inventati? Si tratta per lo più di avvenimenti che sono rimasti nella mente e hanno chiesto di essere raccontati, in forza del ruolo da essi giocato nel determinare passaggi nodali, qualificanti la singolarità - non l’eccezionalità, si badi - di una formazione. Fatti e discorsi riportati corrispondono a quelli effettivamente verificatisi e pronunciati, nella misura e secondo i modi in cui la memoria non ha cessato di selezionarli, elaborarli, fino a codificarli nella forma che la scrittura, ultima fase di questa ininterrotta messa a punto, ha registrato. In questo sta la «verità» di scritti come il mio, nella fedeltà al lavoro della memoria.

Qual è il bilancio di questo lungo percorso? Profittando della rarefazione del confronto con gli altri che l’avanzare dell’età favorisce, è possibile almeno allentare la cura con la quale si è tenacemente tutelata la propria figura, sia nella sfera pubblica sia in quella privata. Con il risultato di potersi focalizzare sul tratto essenziale del proprio carattere con il disincanto e la lucidità necessari per intravederne il limite che, come suo snodo specifico e insuperato, è sembrato connotarlo.

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