Cultura

Capossela porta in piazza Loggia le «Canzoni della Cupa»

Un torrente di emozioni e di sonorità dall'album «Canzoni della Cupa» travolge il pubblico di Vinicio Capossela
VINICIO E IL POLVERE TOUR
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Erano in 1.500 ieri sera in piazza Loggia ad omaggiare Vinicio Capossela, abile - pur con una scaletta ostica, per buona parte basata sul suo ultimo disco, «Canzoni della Cupa» - ad ammaestrare un pubblico adorante, travolto da un torrente irrefrenabile di note.

L’avvio dell’esibizione è paludoso, impervio. In «La bestia nel grano», con tamburi ossessivi e cori estremi, Vinicio è uno spauracchio di paglia vestito che difende campi a maggese, pazientemente in attesa di vedere come matureranno questi frutti canori ancora troppo giovani. «Femmine» è altrettanto irsuta, non invita ad ancheggiamenti e torsioni. Poi risolve tutto l’ebbrezza mariachi di «La padrona mia», che libera dalle inibizioni mentre Capossela invita a trascurare la civiltà dell’orologio a favore di quella del tempo fermo

La piazza ribolle di entusiasmo mentre si muove sulla frontiera tra Texas e Irpinia per «Zompa la rondinella». Sotto una «Signora luna», Vinicio spezza il cuore con la sua versione di «Cancion mixteca». Giunge al fin l’ora del «vecchio testamento» di Vinicio: «Che coss’è l’amor» è una festa danzante cui sono tutti invitati.

Ma nemmeno uno stregone è immune a quanto succede intorno a lui, e introducendo «L’uomo vivo» Capossela ricorda che «in questo tempo di orrore, in questo luogo che è stato teatro di orrore, io, noi celebriamo l’uomo vivo». 

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